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ASSOCIAZIONE PER LE DONNE
E I MINORI IMMIGRATI - ONLUS
ISLAM E FEMMINISMO
STEREOTIPI OCCIDENTALI E COMPLESSITÀ
DELLUNIVERSO FEMMINILE ISLAMICO
Sanremo 12 maggio 2012 ore 11.00
Sala Conferenze dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario
villa Ormond, Corso Cavallotti 113
RELAZIONI
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Asma LAMRABET
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DONNE MUSULMANE E STEREOTIPI OCCIDENTALI: REALTA’ O PREGIUDIZI?
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Introduzione
Le due cose (realtà e pregiudizi) coesistono e l’una alimenta l’altra in un mondo che sembra ogni
giorno di più barricarsi dietro identità irrigidite e nel rifiuto dell’altro. Ma che cosa è uno stereotipo
se non un’opinione preconcetta, ripetitiva, accettata senza riflessione critica profonda e che è
talvolta, anzi spesso, imposta da un comportamento, un vissuto o una esperienza personale, poi
generalizzati? Ci sono dunque degli stereotipi generati da una visione occidentale sui musulmani, così
come esistono degli stereotipi generati da una visione orientale (musulmana) sugli occidentali. E al di
la di certe realtà specifiche per gli uni come per gli altri, le due visioni si autoalimentano all’interno di
un mondo sempre più segnato dall’egoismo, dalla paura dell’altro e che educa all’ignoranza.
Bisogna precisare subito, prima di entrare nel vivo dell’argomento, che il nostro grande problema
oggi è che ciascuno giudica l’altro partendo dal suo punto di vista e dal suo particolarismo. Mentre la
soluzione sarebbe piuttosto quella, come già aveva preannunciato Ibd Rochd (Averroès) (pensatore
musulmano e occidentale) già nel XII secolo, di comprendere l’altro nel proprio sistema di
riferimento. E’ purtroppo quello di cui sentiamo crudelmente la mancanza all’interno del mondo
d’oggi, dove, malgrado gli incredibili mezzi di comunicazione che ci offre la tecnologia moderna,
siamo incapaci di capirci se non attraverso il giudizio e il rifiuto delle nostre rispettive differenze.
Gli stereotipi occidentali
I principali stereotipi occidentali si riassumono nella visione essenzialista in cui le donne musulmane
quale che sia la loro storia, la loro situazione sociale, geografica o economica- sono al centro
dell’incompatibilità tra due blocchi immaginari: islam e occidente. L’islam -peraltro ci si può
domandare di quale islam si tratti: religione, storia, civiltà, cultura?-, questo blocco omogeneo,
sembra essere da molto tempo refrattario a tutti i corollari della Civiltà: modernità, diritti umani,
democrazia, laicità, etc…Tra i clichés più in voga troviamo: oppressione, velo, burka, lapidazione,
sharia, poligamia. Ecco le parole chiave universali che attraverso un’accanita mediatizzazione hanno
finito per inserire, una volta per tutte, le donne musulmane nello schema fisso de «la donna
musulmana» ineluttabilmente vittima dell’islam.
L’islam è stato sempre considerato, secondo questa visione stereotipata, come una religione
antistorica e dunque ai margini di una storia occidentale, la sola detentrice di una visione
universalista ciò che ha spiegato molto bene E. Said nella sua analisi sull’orientalismo, o come
l’Oriente è stato creato e costruito dall’Occidente).
Si assiste quindi ad una vera e propria costruzione ideologica del soggetto “donna musulmana” e da lì
un supersfruttamento di questa tematica dove le donne appartenenti a questa cultura vengono
descritte come recluse in un universo di «non diritti» e parte di un universo differente, altro e
assolutamente estraneo alla cultura universale. Cosa che ha come obiettivo, alla fin fine, di definire
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Presidente e co-fondatrice del GIERFI -Group international d’études et de réflexion sur femmes et Islam-
coordinatrice del gruppo internazionale di ricerca sulla donna musulmana e il dialogo interculturale.
http://www.asma-lamrabet.com/html/articles.htm; http://www.gierfi.org/
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Traduzione del testo francese della relazione orale
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l’identità femminile islamica proprio come modello in negativo rispetto alla modernità, alla libere
alla civiltà.
La terrificante «macchina mediatica», che è la fonte primaria degli stereotipi, ha costruito delle
norme ormai internazionali di un tipico profilo della donna musulmana ridotta alla sua simbologia p
arcaica, quella di una rappresentazione unica, antistorica, pallido remake della classica visione
orientalista.
Di fatto la «ultra mediatizzazione» internazionale e il discorso ricorrente riguardo la tematica “donne
musulmane vittime dell’islam» con il loro status giuridico precario, con la loro ritardata
emancipazione, la loro messa sotto tutela culturale, i loro burka e veli di ogni tipo, ha finito per
instaurare nell’immaginario collettivo contemporaneo un’immagine indelebile, quella di donne
perennemente sottomesse e fatalmente alienate. Immagine che mantiene sornionamente l’idea che
la disuguaglianza dei sessi è, in fondo, strutturale alla sola simbologia islamica di cui, d’altronde, la
stessa qualificazione di islamica dispensa da qualunque analisi o riflessione profonda. C’è quindi un
accanimento drammatico a voler fare delle donne musulmane, «tutte le donne musulmane», le
principali vittime di un islam necessariamente tirannico, discriminatorio, di sapore barbarico, che
soltanto le vie di una emancipazione occidentale idealizzata e universalizzata a oltranza sono in grado
di liberare.
La necessità di questa parola d’ordine «liberiamo le donne musulmane», indotta da un
etnocentrismo intellettuale ormai evidente, ha finito per relativizzare, se non addirittura per
assolvere, le altre culture e società, in particolare quelle occidentali, da ogni accusa di
discriminazione nei confronti delle loro donne che sarebbero, loro sì, «naturalmente liberate» in
quanto si suppone che abbiano acquisito tutti i loro diritti.
Questo «diritto di ingerenza» intellettuale profondamente ancorato in una certa ideologia
occidentale fa sempre parte dei requisiti previ di un discorso politicamente corretto. «Liberare le
povere donne musulmane vittime dell’islam» è così una formula politica che si vende sempre molto
bene e che testimonia, per quanto possibile, una indubbia appartenenza al mondo «civilizzato».
Il meta-discorso attuale sulla donna musulmana, velata, reclusa, oppressa in fondo è soltanto
un’eterna riproposizione della visione orientalista e colonialista, sempre in voga nelle
contemporanee rappresentazioni postcoloniali, che certe femministe europee hanno a giusto titolo
indicato come l’intreccio di sessismo e razzismo…Questo discorso paternalista e perennemente
accusatore serve soprattutto da alibi a tutte le tendenze politiche di dominazione culturale e
supporta l’analisi binaria che oppone, come se fosse la cosa più normale, due modelli antinomici: il
modello universale della donna occidentale liberata e il particolarismo della donna musulmana
oppressa e quindi da liberare. Peraltro questa ossessione di liberare la donna musulmane ha anche
servito da pretesto politico per legittimare imprese coloniali come la guerra in Afghanistan dove
l’esercito americano ha cercato di liberare le povere afgane dal loro orribile burka…
Può essere utile ricordare qui due fatti evidenti.
* Il primo riguarda l’estrema varietà di donna musulmana. Ci sono tante società musulmane diverse
quanti modelli di donna musulmana che dall’Indonesia al Marocco, passando per l’Arabia Saudita o
l’Europa Centrale e l’Africa Sub-Sahariana, sono, non foss’altro che dal punto di vista geografico,
rappresentativi di una importante eterogeneità socio-culturale. Questa pluralità esistente è in
flagrante contraddizione con l’immagine monolitica e uniformizzante de LA donna musulmana,
proposta dagli stereotipi occidentali e che tende a ridurre sistematicamente tutte le donne
musulmane ad un’unica sola dimensione culturale.
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* Il secondo fatto da ricordare e di cui ci si dimentica troppo spesso è l’universalità della cultura
discriminatoria nei confronti delle donne. La disuguaglianza dei diritti tra donne e uomini è stata la
regola per millenni e nonostante conquiste incontestabili la situazione subalterna delle donne è un
fenomeno che attraversa, beninteso in gradi diversi, tutte le culture e tutte le civiltà. Oggi l’ intreccio
di patriarcato e ultraliberalismo hanno prodotto nuove forme «moderne» di sfruttamento e di
soggezione delle donne e queste ultime, al sud come al nord, si ritrovano nelle stesse condizioni di
precarietà globalizzata. L’uguaglianza, principio fondante dei sistemi democratici universalisti, resta
una delle promesse maggiormente mancate della modernità ed è quindi evidente che la lotta per il
riconoscimento e l’istituzionalizzazione dei diritti di uguaglianza tra uomini e donne è una battaglia
ancora incompiuta nel mondo attuale
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.
E’ importante a questo punto precisare che non si tratta di rifiutare un dibattito su questo tema. La
cosa da rifiutare non è tanto la critica dell’ingiustizia di cui sono vittime le donne in terra d’islam e
nell’ideologia tradizionalista corrente (e che, diciamolo pure, è purtroppo una realtà), ma la
centralità, la logica di «due pesi e due misure» e la manipolazione ingiustificabile che subisce la
questione delle donne musulmane nell’agenda politica di certi governi occidentali e nella visione
paternalista di certe femministe occidentali.
(Vengono veicolati dei clichès ricorrenti che hanno fatto il giro del mondo sulla donna afgana tanto
da essere utilizzati per giustificare l’invasione militare e politica di questo paese. Quanto alla
ideologia sessista dell’alleato saudita che inonda, grazie ai petrodollari, la produzione letteraria
islamica fin dentro le società occidentali essa viene tollerata visti gli innumerevoli interessi in gioco.
Silenzio sulle ruberie di Ben Alì in nome di una liberazione delle donne, alibi di certi dispotismi
arabi!).
Peraltro lungi da noi l’idea di demonizzare l’occidente e considerarlo responsabile di tutti i nostri mali
e lungi l’idea di rafforzare una vittimizzazione sottesa a un certo discorso islamico ottenebrato
anch’esso dall’idea un eterno complotto immaginario verso l’islam. Discorso questo che peraltro
veicola lo stesso tipo di stereotipi: la visione dell’occidente considerato come un blocco omogeneo di
un sistema amorale che ha perduto i suoi valori. Si tratta piuttosto di denunciare la
strumentalizzazione politica di alcune problematiche come, tra le altre, quella relativa alle donne
musulmane e di denunciare ciò che una certa visione occidentale ne vuole fare estremizzandola.
Questo, senza dimenticare che ciò è il risultato di una certa realtà concreta garantita da un sistema
religioso che nei paesi di maggioranza islamica strumentalizza anch’esso la questione delle donne
musulmane.
Donne musulmane: quale realtà?
Credo che sia necessario ammettere che tra tutte le critiche fatte all’islam e ai musulmani quelle
sullo status delle donne restano in fondo relativamente giuste nonostante l’insopportabile
strumentalizzazione politica e mediatica internazionale.
Bisogna dirlo chiaramente: malgrado le diverse situazioni in cui vivono le donne musulmane nel
mondo è evidente che la loro situazione resta segnata dalla visione egemone di una ideologia
islamica ufficiale tradizionalista e rigorista che è diventata più marcata a partire dal riflusso religioso
degli anni ’80.
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Le statistiche sulle donne nel mondo sono allarmanti: 100 milioni di donne scomparse in Asia, la tratta delle
               
International), sul nostro pianeta almeno il 20% delle donne sono vittime di stupri o di maltrattamenti: in
www.aidh.org/Femme/sit_amnesty01.htm.
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Esiste nelle varie società islamiche una sorta di compromesso generale riguardo a questa questione
intorno alla quale ci sono raggiunti taciti consensi alle spalle delle donne e della loro emancipazione.
Dall’islam ufficiale degli stati ai movimenti islamici di opposizione, passando per gli alti consigli degli
Ulema o per la cultura popolare, è sempre di una stessa visione tradizionalista misogina e
chiaramente discriminatoria che si tratta.
« L’islam onora la donna, le ha concesso tutti i diritti, l’ha protetta…» ecco la sostanza del discorso
detto e ripetuto da molti musulmani, molto spesso sinceri dal momento che riflette in fondo la
veridicità del messaggio spirituale, ma che resta assolutamente insufficiente e infruttuoso sul piano
argomentativo. Un discorso sulla difensiva che perde via via vigore mentre si affanna a smentire delle
accuse purtroppo confermate dalla constatazione tagliente della realtà delle società islamiche. C’è in
effetti un palese contrasto tra quel discorso che si dice e si vuole rispettoso dei valori islamici e la
realtà di un vissuto in cui si giustificano le peggiori forme di discriminazione nei confronti delle
donne.
Di fatto, anche se la situazione delle donne musulmane ha conosciuto in questi ultimi decenni un
concreto miglioramento e cambia in modo ragguardevole da un paese all’altro (codice moudawwana
in Marocco e Code de Statut Personnel in Tunisia) a seconda del livello socio-culturale ciò non toglie
che lo status giuridico delle donne musulmane resta di gran lunga tra i più precari del mondo.
Bisognerebbe riconoscere che gli schemi educativi tradizionali, le disposizioni discriminatorie del
diritto di famiglia e il codice de statut personnel perpetuano, a seconda dei paesi e in grado variabile,
in modo eclatante le disuguaglianze e la subordinazione delle donne e ciò nella grande maggioranza
dei paesi islamici. Dall’analfabetismo (i tassi nei paesi arabi sono i più alti del mondo: 40% di
analfabeti -65milioni, di cui le donne rappresentano i due terzi) allo stato giuridico di minore a vita,
all’assenza di autonomia, agli ostacoli patenti alla partecipazione politica (5% di donne parlamentari),
passando per i matrimoni forzati e i crimini d’onore in certe regioni, tutti questi abusi restano
purtroppo la quotidianità di un gran numero di musulmane e sono nella maggior parte dei casi
garantite da una certa lettura del religioso.
Il discorso islamico attuale sulle donne si riduce ad una visione semplicistica e normativa incentrata
essenzialmente su «le derive tentatrici del corpo delle donne», o «Fitna», e presenta come unica
alternativa l’invisibilità fisica e sociale delle donne come sfogo di tutte le frustrazioni culturali.
Questo discorso tradizionalista è quindi sfasato in rapporto alla realtà sociale musulmana che evolve
e si trasforma in modo lampante agli occhi di alcuni dotti musulmani che, sbalorditi da questa
evoluzione, si ostinano a cercare delle soluzioni datate tra le riflessioni dei loro predecessori di vari
secoli fa.
Questo rifiuto di appoggiare qualunque tentativo di riforma, in particolare relativa alla condizione
della donna, è molto rivelatore della crisi identitaria che vive il mondo musulmano. Infatti le donne
musulmane sembrano rappresentare l’ultimo baluardo da difendere da parte di società minacciate
da altre situazioni di precarietà politica ed economica, le quali, in mancanza di meglio, si attaccano
per quanto è possibile a valori morali molto primitivi. Così le donne sono condannate ad essere le
guardiane di questa morale e per estensione della religione stessa.
I musulmani, da parte loro, di fronte a questa ostilità crescente per la loro religione e alla valanga di
accuse contro di loro si barricano dietro un discorso non meno caricaturale in quanto essenzialmente
alimentato da reazioni impulsive e ripiegamenti giustificatori. Soggetto ad una congiuntura
internazionale e a delle condizioni politiche percepite come umilianti, il mondo islamico, già
indebolito da una tradizionale chiusura, dalla povertà, dal sottosviluppo e dal dispotismo dei suoi
regimi, percepisce questo genere di critiche e in modo particolare quelle relative alle donne come un
segno di ingerenza culturale totalmente inopportuna e insopportabile.
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