1 - Progetto Fahrenheit

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Il Cristianesimo come luogo nella filosofia di Jean-Luc Nancy1
di Jordi Massó Castilla
"Räumen ist Freigabe der Orte, an denen ein Gott erscheint, der Orte, aus denen die Götter entflohen sind,
Orte, an denen das Erscheinen des Göttlichen lange zögert". (Martin Heidegger, "Die Kunst un der
Raum").
1.
Introduzione: Heidegger e il Dio dell’ontoteología
Forse, l’ontoteologia, dopotutto non è altro che un discorso topografico. Vale a dire:
dopo aver sottomesso la metafisica alla Destruktion iniziata con Essere e tempo e dopo
aver rivelato che “ogni filosofia è teologia nel senso, originario ed essenziale, che il
rendere concetto (λόγος) l’ente nella sua totalità interroga il fondamento dell’Essere e
quel fondamento viene chiamato θεός, Dio”2, dopo tutto ciò, Heidegger comprende che
pensare alla relazione tra filosofia e teologia rinvia inevitabilmente ad un luogo (wohin):
“si potrà soltanto pensare, pienamente e in modo inerente a sé stessa, alla domanda: in
che modo Dio entra nella filosofia?, nel momento in cui, formulandola, si sia
sufficientemente chiarito il luogo in cui Dio deve entrare: la stessa filosofia”3.
Secondo tutto ciò, la Destruktion dell’ontoteologia, annunciata nei primi paragrafi di
Essere e tempo, adotta la forma di una doppia domanda. In primo luogo, quella
formulata da Heidegger, cioè, come entra Dio nella filosofia? Sarebbe a dire, come è
possibile che in una riflessione sull’ente nella sua totalità che interroga il fondamento
dell’essere irrompa quell’ente chiamato “Dio”? La risposta attraversa l’identificazione
di quell’ente supremo con il fondamento, operazione che fa dell’ontologia
un’ontoteologia. In secondo luogo, l’altra questione, sempre doppia e che rimane in
sospeso è la seguente: da quando la filosofia è un luogo e che tipo di luogo è. In questo
caso la delucidazione di questo discorso compromette quella topografia prima segnalata.
Si tratta, dunque, di studiare un luogo, quello filosofico, nel quale irrompe Dio,
contaminandolo. Come è risaputo, la meta che si prefigge Heidegger non è quella di
separare ontologia e teologia, ma quella di mostrare la radice comune in entrambe:
ovvero la postulazione di un fondamento come sostrato dell’ente. Se la filosofia deve
essere un luogo, non può essere se non quello nel quale viene portata a termine la critica
1
Questo saggio è stato tradotto da Valentina Zucchi e Cristina Coriasso Martín-Posadillo.
“Jede Philosophie als Metaphysik ist Theologie in dem ursprünglichen Sinne, daß das Begreifen
(λὀγος) des Seienden im Ganzen nach dem Grunde (d.h. der Ur-sache) des Seyns fragt und dieser Grund
θεὀς, Gott, gennant wird”, in HEIDEGGER, Martin: Gesamtausgabe. II. Abteilung, Vorlesungen 19191944. Bd.42, Schelling: Vom wesen der menschlichen freiheit (1809). Frankfurt am Main, Vittorio
Klostermann, 1988, p. 87.
3
“Die Frage: Wie kommt der Gott in die Philosophie? Können wir nur dann sachgerecht
durchdenken, wenn sich dabei dasjenige genügend aufgehellt hat, wohin denn der Gott kommen soll -die
Philosophie selbst”, in HEIDEGGER, Martin: Identidad y diferencia / Identität und differenz. Barcelona,
Anthropos, 2008, p. 122.
2
di tale presupposto e nel quale venga recuperata la “domanda sull’essere”, la cui
dimenticanza può essere attribuita alla metafisica.
La filosofia pretende di svuotarsi di quel contenuto ontoteologico che ostacolava il
disvelamento dell’essere. Nonostante Dio non sia un tema ricorrente nell’Heidegger
anteriore alla “ svolta” (Kehre), è comunque implicitamente presente nei suoi scritti di
quel periodo un allontanamento, se non proprio un ripensamento, dalla (della)
dimensione teologica e di quella religiosa. Ciò nonostante, anche se nell’analitica
esistenziale del Dasein non trova spazio la dimensione religiosa dell’ente il cui modo di
essere è quello dell’interrogare, (la qual cosa confermerebbe la necessità di escludere
dal pensiero l’elemento teologico), in altri testi contemporanei ad Essere e tempo si
trova un elogio significativo del cristianesimo che, come vedremo più avanti, entra in
sintonia con un altro molto simile che possiamo trovare nell’opera di Jean-Luc Nancy.
In «Dell’essenza del fondamento» Heidegger sottolinea in che modo il cristianesimo
abbia introdotto “una nuova comprensione ontica dell’esistenza”4, in cui il concetto
greco di Kóσμος (“il Come nel quale l’ente è nella sua totalità”) comincia a designare
un determinato modo fondamentale dell’esistenza umana caratterizzata dall’essere “il
come di un modo di pensare che ha voltato le spalle a Dio”. Il Kóσμος cristiano è una
posizione dell’uomo davanti al cosmo, non teologica bensì antropologica, nella quale
risuona l’eco del concetto di “apertura” heideggeriano, visto che non si tratta di un
mondo-cosmo inteso come la totalità dell’ente, ma di un mondo come carattere
esistenziale del Dasein, come uno dei suoi modi esistenziali.
Anche se può sembrare paradossale, ciò che si è appena detto apre una via d’uscita
all’elemento teologico partendo dalla cosmologia cristiana ed invita a riflettere sulla
possibilità di una religione che non si appoggi su un fondamento ontoteologico. Si può
pensare ad una religione, più concretamente, ad un cristianesimo, che non si basi su un
Dio in quanto causa prima? Si può concepire un Dio al di fuori dell’ontoteologia? Con
questa domanda si apre una delle prime lezioni del corso che Emmanuel Levinas dedicò
alla questione di “Dio e l’ontoteologia”5. La risposta che Levinas offre è affermativa: sì,
si può pensare ad un Dio che stia al di fuori dell’ontoteologia nella misura in cui essa
venga subordinata ad un‘etica che superi la differenza ontologica – è oltre l’essere – e
il cui centro venga occupato dalla relazione con il prossimo dalla quale deriva la
responsabilità verso gli altri. In questo dialogo fra l’Io e l’Altro, nel quale non esiste mai
un’uguaglianza tra entrambi i termini – poichè la responsabilità nasce precisamente
dall’incommensurabilità di quell’Altro che fa di me stesso il suo ostaggio – se ne
presenta un terzo, situato al di là dell’essere e al di fuori della distinzione essere/ente,
identificabile con l’infinito e che non è altro Dio se non quello che è fuori
dall’ontoteologia6. Un Dio che non può essere pensato o, per lo meno, non se si parte da
una razionalità (λὀγος) che pensa a partire dall’ente e dall’essere (ontologia). In
Levinas, così come in Heidegger, la difficoltà risiede nel sottrarre Dio a quella
ontoteologia per poter penetrare così in un nuovo spazio, in un luogo inedito, in
quell’“oltre l’essere” levinasiano o quel “pensare senza Dio” che, dopo aver
abbandonato il Dio della filosofia, non essendo più causa sui, “è più vicino al Dio
divino”7, a quel Dio il cui arrivo, ne riparleremo più avanti, Heidegger si apprestava a
4
“Es ist aber kein Zufall, daß im Zusammenhang mit dem neuen ontischen Existenzverständnis,
das im Christentum durchbrach”, in HEIDEGGER, Martin: Gesamtausgabe. I. Abteilung, Veröffentliche
Schriften 1914-1970. Bd.9, Wegmarken. Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 2004, p. 143.
5
Cfr. LEVINAS, Emmanuel: Dieu, la mort et le temps, París, LGF, 1995.
6
Cfr., per esempio, LEVINAS, Emmanuel: Autrement qu'être. La Haye, Martinus Nijhoff, 1974,
p. 183.
7
“dem göttlichen Gott vielleicht näher”, in HEIDEGGER, Martin, op. cit. (2008), p. 152.
preparare, come diceva nella famosa intervista a Die Spiegel, quel Dio, l’unico o l’unica
cosa “che può salvarci”.
2.
Nancy e i luoghi divini
Non abbandoniamo ancora questo lavoro topografico di ricerca dei luoghi. Di luoghi
che ormai non sono più fondati dagli dei che si costituiscono come il loro fondamento.
Di luoghi nei quali entrino ed escano gli dei ma senza rimanervici. Di luoghi che non
appartengono alla sfera ontoteologica ma che invece appartengono a quel “Dio divino”
del quale parlava Heidegger. Infine, di luoghi “divini” nei quali il divino non sia una
sostanza (oΰσία) intesa come “l’essere di un ente che è in sè stesso”8, ma un modo di
rapportarsi, di (ri)legarsi. Luoghi divini, Des lieux divins. Così si intitola un’opera di
Jean-Luc Nancy pubblicata nel 1987. In questo caso, il dato della data di pubblicazione
è rilevante poiché si potrebbero vedere in essa le basi di quel progetto filosofico
monumentale che Nancy porta avanti da più di tre lustri e che riceve il nome di
“decostruzione del cristianesimo”:
déconstruire le christianisme ne veut pas dire se contenter de la critique de l'illusion religieuse,
comme celle de Marx, de Freud, mais interroger ce que peut-être nous pouvons maintenant
découvrir au fond du christianisme, à savoir: retrouver le caché au coeur de la construction
chrétienne elle-même théologique, dogmatique, ecclésiastique, en se demandant si par là, il n'y
pas une ressource qui n'est pas religieuse, mais encore plus profonde que ça, ni philosophique,
ni religieuse, mais qui peut-être serait la grande ouverture de la pensée de l'Occident.9
La decostruzione del cristianesimo mantiene una stretta somiglianza con la Destruktion
heideggeriana. Entrambe non sono altro che atteggiamenti, sempre positivi (Essere e
tempo, §6), nei confronti della tradizione, che non mirano alla sua distruzione ma che
vogliono recuperare ciò che originariamente c’era in essa e, che dopo secoli di dominio
dell’ontoteologia, è rimasto sepolto nell’oblio: la domanda sull’essere (Heidegger) e
nell’origine dell’apertura del pensiero occidentale (Nancy). Nel caso di quest’ultimo, la
decostruzione del cristianesimo è una “recherche consistant à désassembler et à analyser
les éléments constitutifs du monothéisme et plus directement du christianisme, donc de
l’Occident, afin de remonter (ou d’avancer) jusqu’à une telle ressource qui pourrait
former à la fois l’origine enfouie et l’avenir imperceptible du monde qui se dit
«moderne»”10.
Come proprio Nancy ha riconosciuto, il suo progetto decostruttivo si intravede in Être
singulier pluriel (1996), ma non raggiunge il suo intero sviluppo fino a La création du
monde (2002) e soprattutto fino ai due tomi della Déconstruction du christianisme (1.
La Déclosion, 2005; 2. L'Adoration, 2010), nonostante che le ramificazioni si estendano
ad un buon numero di articoli e ad opere come Visitation (de la peinture chrétienne)
(2001) e Noli me tangere (2003). Il punto di partenza di questo progetto è
l’affermazione heideggeriana che ogni ontologia è in fondo un’ontoteologia. La critica
8
“das Sein eines an ihm selbst Seinen lautet substantia”, in HEIDEGGER, Martin:
Gesamtausgabe. I. Abteilung, Veröffentliche Schriften 1914-1970. Bd.2, Sein und Zeit. Frankfurt am
Main, Klostermann, 1977, p. 120.
9
NANCY, Jean-Luc: «Il faut remettre l'homme dans un rapport infini avec lui-même», in Rivista
di Filosofia Neo-Scolastica, 4 (2007), p. 785.
10
NANCY, Jean-Luc: La Déclosion. París, Galilée, 2005, p. 54.
nei confronti di una “ontologia sostanziale” dovrebbe estendersi coerentemente a quei
presupposti teologici che dipendono da essa, poiché, in fin dei conti, il Dio delle
teologie e delle religioni è lo stesso Essere trascendentale e sostanziale dell’ontologia.
In entrambi i casi, quell’istanza si presenta come il fondamento di tutto ciò che esiste.
Nella sua opera, specialmente in quello che si conosce come il “primo Heidegger”, il
filosofo tedesco si dedica a reinterpretare concetti chiave della metafisica, tali come
verità, libertà, mondo, senso o esistenza, spogliandoli – o decostruendoli – del loro
(sotto)fondo sostanziale. Restava in secondo piano tutto ciò che è in rapporto alla
teologia che è embricata alla radice della metafisica. Il progetto della Decostruzione del
cristianesimo prende il testimone lì dove Heidegger lo ha lasciato: nella critica di quei
presupposti metafisici che stanno alla base del cristianesimo e, per estensione, delle tre
grandi religioni monoteistiche. Il procedimento seguito da Nancy per portare a termine
tale progetto, consiste nella scelta di un concetto capitale per il monoteismo, come per
esempio quelli di: rivelazione, resurrezione o creazione, per poi svuotarlo del suo
contenuto sostanziale apprestandosi così ad una nuova lettura in chiave ontologica,
partendo dall’ontologia dell’essere singolare plurale o dell’essere-con che
caratterizzano questo filosofo11. Ognuno di questi termini che viene decostruito dalla
decostruzione del cristianesimo può essere assimilato ad un concetto abituale nell’opera
di Nancy. Così, la creazione ex- nihilo è, per come viene reinterpretata da Nancy, una
nuova formulazione della es-posizione, parola che rinvia all’e-sistenza heideggeriana:
“«Nihilisme», en effet, veut dire: faire principe du rien. Mais ex-nihilo veut dire: défaire
tout principe, y compris celui du rien. Cela veut dire: vider rien (rem, la chose) de toute
principialité: c'est la création”12. E l’incarnazione, propria del cristianesimo, si avvicina
ad una nozione dell’essere-in-comune o partage che ha poco a che vedere con la figura
di Gesù Cristo e che invece ha a che vedere con l’e-sistenza e con l’essere-nel-mondo
(In-der-Welt-sein) heideggeriani: “nos savons bien que le coeur de la théologie
chrétienne est évidemment constitué par la christologie, que le coeur de la christologie
est la doctrine de l'incarnation, et que le coeur de la doctrine de l'incarnation est la
doctrine de l'homoousia, de la consubstantialité, de l'identité ou communauté d'être et de
substance entre le Père et le Fils”13. Di fronte a ciò, Nancy propone un nuovo senso per
questo mistero: “incarnation et resurrection déclinent ensemble une seule et même
pensée: le corps est l'événement de l'esprit. Son avènement, sa venue au monde, et sa
survenue, son irruption et son passage. Cela veut dire aussi: l'esprit en se tient pas hors
du monde, il s'ouvre au milieu de lui”14.
Qualcosa di simile succede con “categorie cristiane” come peccato o fede. Quest’ultima
probabilmente è una delle più presenti nell’opera di Nancy degli ultimi dieci anni 15, e
viene descritta come “amour et courage, et/ou comme pensée de l'étant en totalité en
11
NANCY, Jean-Luc: Être singulier pluriel. París, Galilée, 1996.
NANCY, Jean-Luc: La Déclosion, op. cit., p. 39.
13
Ibídem, p. 219.
14
NANCY, Jean-Luc: L'Adoration. París, Galilée, 2010, p. 78.
15
Sebbene si debba considerare che la sua apparizione nel corpus nancyniano risale, almeno, agli
inizi degli anni ‫׳‬80. Così, in Le partage des voix la fede riceve un trattamento simile a quello che riceverà
all’interno della decostruzione del cristianesimo, poichè, per esempio, si presenta già in opposizone alla
credenza: “ce n'est pas la religion qui a donné à la philosophie une figure de l'herméneutique, c'est la
philosophie -c'est-à-dire ici l'onto-théologie comme l'entend Heidegger- qui a déterminé l'herméneutique
dans la religion. Le «cercle herméneutique» est sans doute (onto)théologique par nature et en toutes
circonstances. Ce qui par ailleurs en permet aucune conclusion sur l'«interprétation» religieuse hors de
l'onto-théologie (mais de quoi parlerait-on alors?). Peut-être faudrait-il se risquer à prolonger la note
précedente jusqu'à dire: la foi, quant à elle, pourrait bien être, malgré les apparences, tout à fait étrangère
à l'herméneutique (sans que soit par là comblé l'abîme qui la sépare de la philosophie, ou de la pensée)”.
In NANCY, Jean-Luc: Le partage des voix. París, Galilée, 1982, p. 17.
12
tant qu'«oeuvre» détachée de tout ouvrier”16. In quella che potremmo denominare
provvisoriamente la “religione ontologica” di Nancy – più avanti torneremo a parlarne –
la fede non è, come la credenza, un’adesione senza prove ad un senso determinato (Idea,
sostanza, Dio), ma un’apertura verso qualcosa che la trascende e che non è nient’altro
che il nulla, un’inoperosità in cui una finitezza comunica – questo è il laccio religioso –
con un’infinitezza che non si posizionerebbe oltre quella, come credeva Levinas, ma in
questa (transimmanenza), senza produrre nulla: né salvezza, né trascendenza, né
fecondità17. L’elenco dei termini cristiani sottomessi ad una decostruzione è talmente
vasto che il percorrerlo va oltre il proposito di questo articolo. Nonostante tutto, ci
accontenteremo per lo meno di segnalare in che modo Nancy scopra in questi ultimi un
elemento in comune. Egli sostiene che ognuno di loro, svincolato da una metafisica
della presenza che, unendosi alla teologia che fa di Dio il fondamento (ousia) arrivi ad
essere ontoteologia, si trasforma nell’indice di un lavoro etico: non fare della religione
l’adorazione di un Senso, di un ente supremo o causa sui, ma trasformarla in una prassi
in rapporto ad un senso al quale non bisogna legarsi e che non deve nemmeno essere
disvelato, ma di fronte al quale si deve rimanere aperti18. Ciò è quanto rivela la
rivelazione: che non esiste nulla di rivelabile, salvo la stessa rivelazione19. E ciò,
aggiunge, è (l’)adorabile.
Come si può osservare, nella decostruzione del cristianesimo tanto Dio quanto la
costellazione dei concetti creati a partire da esso perdono il loro fondo esistenziale se
vengono letti secondo la prospettiva dell’ontologia di Nancy. Il risultato di tutto ciò è un
allontanamento della sfera del divino dal pensiero, dato che questo cerca sempre il che
della rivelazione, il senso che si dis/ri-vela e non il come. Dio non può essere oggetto di
conoscenza, cosa per cui le prove della sua esistenza incorrono inevitabilmente
nell’assurdo. La teologia viene chiamata a perpetuare lo smarrimento della metafisica
quando, trasformata in ontoteologia, indaga sul fondamento ultimo dell’ente nella sua
totalità e lo situa in un Essere supremo. Nella filosofia di Nancy, Dio può unicamente
essere sentito in quanto presenza che si offre non ad essere colta in qualsiasi modo
(intuitivo, empirico, ecc.), ma ad essere sentita.
Di conseguenza, questo lavoro etico verso il quale veniamo chiamati, ha bisogno di un
nuovo rapporto con il divino. Ovviamente non si tratta di un’etica nel senso levinasiano,
cioè di un’etica che precede l’ontologia e secondo la quale il rapporto tra l’Io e l’Altro,
in cui si apre l’Infinitezza, trascende l’ontologico in quanto si ritrova oltre l’essere. La
prassi etica contenuta nella decostruzione del cristianesimo invece è inserita all’interno
di un pensiero ontologico che pensa, con Heidegger, che all’essere debba essere
riconosciuto il suo carattere verbale. Non l’essere (sostanza) ma essere (verbo
transitivo); essere, in termini di Nancy, "singolare plurale" o "essere-con" (être-avec),
per mezzo dei quali Nancy corregge Heidegger in un punto essenziale; il con, avec o mit
nasce con il Dasein, non dopo di lui, come sembrerebbe essere affermato in Essere e
tempo: il Dasein è sempre Mitsein, cioè, se il Dasein è l’esser “ci” (da), quel ci, quello
16
NANCY, Jean-Luc: La Déclosion, op. cit., p. 90.
“car la subjectivité amoureuse est la transsubstantiation même et que cette relation sans pareille
entre deux substances -où s'exhibe un au delà des substances- se résout dans la paternité”. LEVINAS,
Emmanuel: Totalité et Infini. La Haye, Martinus Nijhoff, 1971, p. 249. Senza dubbio, bisognerebbe
parlare a lungo del concetto levinasiano della fecondità/paternità e di come e fino a che punto quel figlio
che non “ho” ma che “sono”, non implichi una certa idea di “opera”, in modo tale che la intersoggettività
levinasiana si orienterebbe a quella produzione dalla quale vuole liberarsi Nancy.
18
NANCY, Jean-Luc: L'Adoration, op. cit., p. 16.
19
Nancy prende in prestito quest’idea dalle Lezioni sulle prove dell’esistenza di Dio di Hegel e la
introduce spesso nelle sue opere. Per esempio, in La Déclosion, op. cit., p. 214.
17
spazio o apertura è, necessariamente un "essere-gli-uni-con-gli-altri" senza che ci sia
una fusione, comunità o comunione tra di loro. Ancora una volta il cristianesimo deve
vedersela con un pensiero che spoglia i suoi elementi di quel fondo sostanziale. Ciò che
unisce i cristiani, ciò che li accomuna, non è il fatto di condividere (partager) il corpo e
il sangue di Cristo, di Dio incarnato, ma il fatto che non ci sia proprio nulla da
condividere: comunità senza comunione.
La decostruzione del cristianesimo, questa prassi di svuotamento del fondamento
divino, si articola in due momenti; in operazioni simultanee. La prima è la dischiusura
che designa “l'ouverture d'un enclos, la levée d'une clôture”20. La seconda è
l’adorazione. Una volta che si impedisce la chiusura necessaria affinchè possa essere
delimitata quella sostanza che agisce come fondamento di ciò che esiste, viene aperta al
pensiero, alla filosofia liberata dall’ontoteologia, proprio la possibilità di pensare a
quell’apertura che assume la forma di una presenza. Or dunque, non si tratta della
presenza dell’Essere o dell’Essere come presenza ma “c'est la présence, non de quelque
chose mais de l'ouverture, de la déhiscence, de la brèche ou de l'échappée de l'«ici»
même”21.
In definitiva, il cristianesimo non deve essere eliminato o criticato come se fosse un
opiaceo per il popolo. Deve, in ogni caso, essere pensato, poiché l’adorazione è proprio
questo, un pensiero: “la pensée, en effet, en se confond ni avec l'activité intellectuelle établissement de rapports, invention de nominations (concepts) et d'arguments (raisons)ni avec une activité intellectuelle (jugement, appréciation, évaluation). La pensée est un
mouvement des corps: elle commence dans ce pli nerveux du corps qui l'expose à
l'infini d'un sens, c'est-à-dire d'une effectuation par les autres corps”22. Con ciò sembra
che si sia risposto a quell’interrogativo lanciato da Levinas: è possibile pensare a Dio al
di fuori dell’ontoteologia? La risposta proposta da Nancy – Dio può essere pensato a
partire da quel “movimento dei corpi” – non soddisferebbe affatto Levinas, poichè non
rimanda a un oltre l’essere o a un altro modo che l’essere, ad una Totalità che si rivela
nel rapporto intersoggettivo originario. Però è più fedele al precetto heideggeriano di
“pensare a Dio” a prescindere dal Dio della filosofia (dell’ontoteologia) per avvicinarsi
al “Dio divino”.
Le difficoltà, che sfiorano l’aporia, di tutta questa architettura chiamata la decostruzione
del cristianesimo, sono state messe in rilievo in più di un’occasione. Per incominciare e,
come ha sottolineato bene Derrida in una discussione con lo stesso Nancy, per una
filosofia che ha accettato la critica della soggettività cartesiana sviluppata da Heidegger
in Essere e tempo, risulta piuttosto problematico identificare l’agente che deve portare a
termine suddetta decostruzione. Si tratta di un soggetto? Di che tipo? Come può
originarsi da quello un’etica dal momento che Heidegger, nel quale Nancy ripose tutta
la sua attenzione, rifiutò più volte il fatto che dall’analitica esistenziale potesse nascere
un’etica?
Qui prend en somme aujourd'hui, qui prendrait la responsabilité d'une déconstruction du
christianisme? Pour suivre le fil de ce que tu disais tout à l'heure, il est évident que la
responsabilité, si elle est illimitée, c'est qu'elle n'est pas simplement la responsabilité d'un sujet
conscient, libre, déterminé, etc., mais qu'elle vient de plus loin ou de plus haut, elle est plus
vieille que moi; mais aussi le «devant qui» j'ai à prendre ma responsabilité n'est pas encore
20
21
22
NANCY, Jean-Luc: La Déclosion, op. cit., p. 16.
NANCY, Jean-Luc: L'Adoration, op. cit., p. 18.
Ibidem, p. 23.
formé. Celui qui t'adresse l'appel n’existe peut-être pas. Il est indéterminé, il est, peut-être, à
venir, justement.23
Derrida colpiva nel segno. Se la decostruzione del cristianesimo è, come si è visto, una
prassi da cui deriva una responsabilità è necessario chiedersi a chi si rivolge la sua
domanda. E nel caso in cui fosse co-originaria a me stesso, come Derrida sembra
suggerire, non si starebbe subordinando nuovamente l’ontologia all’etica? La risposta a
queste domande conduce a uno dei tratti caratteristici della decostruzione del
cristianesimo : il suo carattere “autotelico”. L’affermazione di una sostanza o di un ente
supremo che agisce come fondamento dell’ente nella sua totalità comporta la sua
negazione; si potrebbe dire che il teismo va unito dialetticamente all’ateismo: “la
philosophie est athée dans son principe, et avec elle toute l'onto-théologie, dans laquelle
«dieu» est le nom putatif ou le chiffre commode d'une nécessité du donné, le nom
postulé par le désir de rendre raison de la contingence du monde”24. Negare Dio, come
fa l’ateismo, significa rifiutare la posizione di un soggetto del mondo o della totalità
dell’ente. Ma il principio dal quale partono entrambi, teismo ed ateismo, è lo stesso. Per
questo la metafisica in quanto ontoteologia doveva finire inevitabilmente per affermare
la morte di Dio: qualsiasi delimitazione di una sostanza è incapace di impedire che ci
sia al suo interno, sicuramente intatto, immutabile, identico, ecc., un movimento di
apertura (fessure o interstizi dei testi, come direbbe Derrida), da dove possa scappare il
Senso. È quello che Nancy spiegava quando si riferiva al soggetto cartesiano, paradigma
del subjectum quod substat : “nous ne proposons rien d'autre que de vérifier l'énoncé
suivant: l'instauration cartésienne du Sujet correspond, par la plus contraignante
nécessité de sa propre structure, à l'épuisement instantanée de ses possibilités d'essence.
[…] L'érection et l'inauguration mêmes du Sujet ont provoqué l'effondrement de sa
substance”25.
Da quanto si è detto, se con la morte di Dio finisce l’ontoteologia o almeno così
pensano Heidegger, Levinas e Nancy, tale fine significa, in realtà, il suo culmine. Il
teismo era destinato fin dalla sua postulazione ad essere negato dall’ateismo in modo
tale che entrambi i movimenti sembrano le due facce della stessa medaglia. Bisogna
pensare, e di ciò si occupa Nancy, a cosa rimane nel luogo che occupavano gli dei dopo
essersi ritirati, dopo il loro svuotamento in quanto significazione. In tutti i modi, il fatto
importante è quello di mostrare come il teismo porti in sè il germe dell’ateismo e come
il cristianesimo sia destinato ad essere decostruito, alla sua dischiusura. Se c’è qualcosa
di simile ad un dio, ad uno spazio della divinità, deve essere proprio quello dell’apertura
originaria: così come, infine, qualunque gesto di limitazione rende possibile, dal
momento in cui viene tracciato, la sua apertura. Forse non è questo nient’altro che una
sostituzione: la pienezza del Dio del monoteismo per quella dell’apertura alla quale
dovrebbe sottomettersi ?, obietta Derrida26. E qui, per la prima volta, il pensiero di
Nancy corre il rischio di incagliarsi. Fino a che punto la preminenza dell’apertura non
può trasformarsi in un nuovo fondamento al quale si subordinerebbero i regimi etico,
estetico e politico ? In questo senso si muovono le opportune osservazioni delle ricerche
di Francis Guibal sulla complessa relazione fra il pensiero di Jean-Luc Nancy e di
Emmanuel Levinas. Guibal prende uno dei testi nei quali Nancy stabilisce con maggior
DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in GUIBAL,
Francis e MARTIN, Jean-Clet (ed.): Sens en tous sens, París, Galilée, 2004, p. 185.
24
NANCY, Jean-Luc, «L'a-athéisme», in ah ! n° 3 (avril 2006), Bruxelles, p. 61.
25
NANCY, Jean-Luc: Ego sum. París, Flammarion, 1979, p. 33.
26
DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in GUIBAL,
Francis e MARTIN, Jean-Clet, op. cit., p. 188.
23
chiarezza e rotondità la sua divergenza nei confronti della filosofia levinasiana,
«L'amour en éclats». Lì Nancy esamina come in Levinas l’amore è orientato ad una
meta teleologica27, ad una trascendenza, all’Infinito, il cui punto di partenza è il volto
dell’Altro, in modo tale che questi si trasforma nel preminente ed originario (è la
“significazione” precedente al “senso”, il “Dire” che antecede il “Detto”), cosa che fa
dell’amore uno strumento per la rivelazione della trascendenza in quel volto, un mezzo
destinato a sparire. Nancy non lascia spazio ai dubbi : “je ne peux, pour ma part, saisir
la relation avec le visage que comme seconde et constituée”28. Guibal si domanda
allora : “mais cette «secondarisation» en renvoi-t-elle pas implicitement à une autre
archè?”29.
Entrambi, Derrida e Guibal, sono d’accordo nel segnalare la presenza di un elemento
fondatore/che fondamenta nella filosofia di Nancy. Derrida lo nomina chiaramente: si
tratta della nozione heideggeriana di apertura. Guibal non si spinge così lontano, ma nel
suo testo si introduce l’idea che l’ontologia di gli-uni-con-gli-altri nancyniana abbia a
che a fare con quel con, un nucleo sostanzialistico che finirebbe col frustrare il tentativo
di apertura della sua filosofia. Non è nostro proposito determinare chi di loro abbia
ragione, giacché per incominciare non è una questione che riguardi la ragione, quel
logos che, come abbiamo visto, tende a vincolarsi, fin dalla sua nascita, ad una sostanza
permanente ed identica a sé stessa, si chiami questa Essere o Dio. Invece vogliamo
segnalare il sottofondo di quei dubbi provocati dalla decostruzione del cristianesimo,
nel quale, dal nostro punto di vista, Heidegger agisce come un ospite inaspettato che
rende difficile il proposito di Nancy. Questo non vuol dire che il suo intento sia
impossibile o che sia condannato all’aporia. Al contrario, ciò che si dovrebbe
sottolineare è in quale modo Nancy, volendo procedere sui sentieri indicati, non ancora
percorsi, dal filosofo tedesco, si trovi in alcune occasioni obbligato a fare salti mortali
che lo portano a sfiorare paradossi e apparenti incongruenze, come quello che lo
condurrebbe a segnalare un archè per la sua filosofia dell’essere-singolare-plurale che
si caratterizza proprio per il fatto di assumere l’impossibilità che ci sia una ousia come
origine o fondamento di ciò che esiste.
Prima di delucidare questi argomenti, o come via di accesso ad essi, sarebbe forse
consigliabile introdurre un nuovo attore in scena, un testo di Nancy piuttosto antico,
poco menzionato e che di frequente viene ignorato quando si analizza che cosa sia la
decostruzione del cristianesimo. Si tratta di Des lieux divins (si era già detto che si
sarebbe parlato soltanto di luoghi), pubblicato da T.E.R. nel 1987. È un libro
enigmatico, dal momento che nemmeno lo stesso Nancy allude ad esso quando sviluppa
la sua decostruzione, come se il proposito di questo libro rimanesse fuori da quel
progetto decostruttivo. Cosa dice dunque Nancy in Des lieux divins? Potrebbe
quest’ultimo contenere qualche idea che si oppone alla decostruzione del cristianesimo?
O forse il suo oblio obbedisce unicamente al fatto che è soltanto uno schizzo troppo
titubante il cui risultato lascia insoddisfatto il suo autore?
Ciò che cercheremo di dimostrare più avanti sarà che, da una parte, quest’opera accoglie
i principi della decostruzione del cristianesimo, già esposti, comprese le idee di
dischiusura e di adorazione. Dall’altra parte, e così come nei testi degli ultimi quindici
anni, Nancy difende in Des lieux divins un lavoro etico vincolato alla sua concezione
“l'amour est le mouvement appuyé sur cette épiphanie [«l'épiphanie du visage»], qui la
transcende pour accéder, au-delà du visage, de la vision et du «toi», au «caché -jamais assez cachéabsolument insaisissable»”. In NANCY, Jean-Luc: Une pensée finie, París, Galilée, 1990, p. 260.
28
Ibídem, p. 261.
29
GUIBAL, Francis: «Sans retour et sans recours», in GUIBAL, Francis e MARTIN, Jean-Clet,
op. cit., p. 65.
27
del senso e del mondo, che nel caso specifico di questo testo, precedente ai grandi
sviluppi nancyniani di entrambe le questioni, come Le sens du monde (1993), Une
pensée finie (1990) o La pensée dérobée (2001), doveva adottare, obbligatoriamente, un
vocabolario più proprio del Nancy degli anni ‘80, per il quale termini come
communauté o partage erano frequenti e non così sospettosi come gli sarebbero
sembrati col passare degli anni30. Ciò nonostante, anche se vengono usati termini
diversi, il proposito di entrambi i progetti; quello della decostruzione del cristianesimo e
quello che potremmo chiamare dello svuotamento (évidement) dei luoghi divini, è
identico. E, inoltre, il secondo di questi in realtà sarebbe il primo momento di una
medesima operazione. Quali sono, quindi, quei “luoghi divini” che dovrebbero
svuotarsi?
Des lieux divins: des dieux et de leurs lieux; des places qu'ils ont abandonnées, et de celles où
ils se cachent; des dieux sans feu ni lieu, des dieux nomades; de l'ici, où les dieux se trouvent
aussi; des lieux communs de Dieu; des dieux communs à tous les lieux, à quelques lieux, à
aucun lieu; de Dieu: en quoi il est un topos; topiques et atopiques divines; des dieux et des
lieux: traité de la paronomase divine; où trouver dieu? en quel lieu?31
3. Verso un’ontologia dell’abbandono
Si può notare, in un modo ancora più chiaro di quanto non fosse prima, che la
decostruzione del cristianesimo è un discorso sui luoghi. Luoghi abbandonati o di
esseri/dei abbandonati o in abbandono. «L’essere abbandonato »: così si intitolava un
articolo di Nancy apparso nel 1981 che, come lui stesso riconobbe32, segnò la sua
rottura con Philippe Lacoue-Labarthe, l’abbandono delle questioni politiche e
l’introduzione nel suo lavoro della filosofia heideggeriana. Heidegger, la cui opera
Nancy già conosceva fin dalla metà degli anni ‘6033, sarà una costante nella sua
filosofia, fino al punto che può affermarsi che, salvo Jean-Luc Marion, non c’è
nell’ambito francese un altro pensatore che abbia assimilato con tanta costanza, rispetto
e fedeltà, non scevra di critica, l’eredità heideggeriana. Da tutto ciò provengono,
torneremo poi a parlarne, i problemi individuati da Derrida e Guibal, fra gli altri, che di
fatto hanno più a che vedere con la posizione che entrambi mantengono nei confronti di
Heidegger.
Si è giá visto che l’unica cosa che si può fare con l’Essere è pensarlo come verbo
transitivo (non l’essere, ma “essere”, “essere singolare plurale”). Questo valore verbale
scioglie il suo carattere sostantivo, impedendo che diventi il fondamento sostanziale sul
quale si basa l’ontoteologia. Da tutto ciò, oltre a proporre, seguendo Heidegger, il nuovo
pensiero sull’essere, Nancy preferisce “de-sostanzializzare” l’Essere della metafisica. E
questo implica siffatto abbandono: “il [le dieu] est abandonné - ou bien, il nous
abandonne. Il nous abandonne à notre philosophie et à notre religion de la mort de
Dieu”34. Questo abbandono ha a che vedere con quell’ateismo consustanziale (mai
Cfr. DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in
GUIBAL, Francis e MARTIN, Jean-Clet, op. cit., p. 191.
31
NANCY, Jean-Luc: Des lieux divins. Mauvezin, T.E.R., 1987, p. 6.
32
Cfr. NANCY, Jean-Luc «D'une 'mimesis sans modèle'», in L'animal nº 19-20 (2008), Metz, p.
109.
33
Cfr. NANCY, Jean-Luc «Entretien», in JANICAUD, Dominique: Heidegger en France II.
Entretiens. París, Albin Michel, 2001, p. 245.
34
NANCY, Jean-Luc: Des lieux divins, op. cit., p. 23.
30
meglio detto) al teismo. La partenza del Dio pre-supposto come fondamento dell’ente
nella sua totalità è iscritta in quest’ultimo fin dalla sua creazione.
Così come Dio, anche l’Essere, se è, deve essere in quanto abbandono, mai come
presenza o persistenza. Quest’idea, introdotta da Nancy nei testi degli anni ’80, viene
ripresa all’interno del progetto della decostruzione del cristianesimo con un altro nome :
il ritirarsi degli dei35: “le sens, qui me paraît être l'élément même de toute cette tradition
[la tradizione dei tre monoteismi], en désigne pour moi pas autre chose que la levée de
cet envoi, de cet appel, venant et faisant signe vers la présence en tant qu'absentée, pour
se contenter, maintenant, de le dire de cette manière. C'est cela l'enjeu du retrait des
dieux: le sens d'un absentement”36.
Quindi il senso fa un “segnale” ad una presenza che si è assentata, quel Dio che si è
ritirato. Di questa divinità retrocessa la cui assenza deve essere ri-tracciata (di nuovo
l’imperativo etico nancyniano) rimane il suo andare e venire, la sua non-fissazione e il
suo non-fondamento, infine, il suo passare. Nancy ripete insistentemente quest’idea:
Dio non è presente, come voleva il teismo, né assente, come sostiene qualsiasi ateismo.
Lui è un passaggio (pas). In nessun altro testo come in «D’un Wink divin » si rende più
esplicito il riferimento ad Heidegger. Quel Wink lo prende Nancy da un frammento dei
Beiträge zur Philosophie (§279) di Heidegger nei quali dice a proposito dell’ultimo dio:
“ultimo dio: trova il suo dispiegamento essenziale nel segno (cenno) (im Wink),
l’accesso e l’assenza dell’arrivo (dem Anfall und Ausbleib der Ankunft), così come nella
fuga degli dei passati e nella loro segeta metamorfosi” 37. Non risulta strano che Nancy
fissi la sua attenzione in questo strano frammento. In esso il filosofo tedesco sembra
descrivere il paesaggio così com’è dopo la ritirata degli dei. Ciò che scopre in esso è un
segnale, un segno (una strizzata d’occhio, come dirà Derrida) grazie al quale
quell’“ultimo dio” può dispiegarsi. Nancy lo interpreta nel seguente modo: “c'est bien
pourquoi il winkt: il déclenche par un signal au lieu de, et avant d'établir dans une
signification. Le souverain ouvre du sens possible, tout autant qu'il ferme ou suspend les
sens déjà disponibles”38. L’ultimo dio che agisce qui come quel sovrano, segnala, cioè,
schiude il senso e impedisce che questo si coaguli in forme di significazione, che poi
un’ermeneutica dovrebbe segnalare ed enumerare per poterle in questo modo
35
Il motivo della ritirata (re-trait) risulta familiare ai lettori di Nancy. Non invano questo fu il
titolo del testo «Le retrait du politique», scritto a quattro mani fra lo stesso Nancy e Lacoue-Labarthe, e
frutto del Centre de Recherches Philosophiques sur le Politique, esperienza che, come è risaputo, diede,
fra gli altri frutti, due opere che riprendono le lezioni di quel seminario. Una di quelle, Le retrait du
politique, include quel testo omonimo in cui i suoi autori difendono la necessità di una “ritirata”
dell’elemento politico, ritirata (retrait) che implica un ri-tracciato (re-trait): “en parlant de retrait, nous
avons voulu dire que quelque chose se retire dans (ou de) ce que j'appellerai, à la fois pour faire vite et
par provocation, la cité moderne. […] Le retrait apparaît odonc d'abord comme le retrait de la
transcendance et l'altérité”. E un po’ più avanti: “il n'ya pas à «sortir» du retrait, mais à faire l'épreuve de
ceci que le politique s'articule sans doute comme un «retrait» essentiel, qui est peut-être le retrait de
l'unité, de la totalité et de la manifestation effective de la communauté. Cela suppose toute une
élaboration, d'autant plus complexe si c'est à nouveau le politique (ou la souverainété) qui doit ainsi se
«retracer». Mais cela suppose en tout cas -et à cet égard il ne faut pas qu'on se méprenne sur nos
intentions- que cette problématique en peut être pas celle d'un fondement (ou d'un nouveau fondement) du
politique”. LACOUE-LABARTHE, Philippe y NANCY, Jean-Luc «Le retrait du politique», en
LACOUE-LABARTHE, Philippe y NANCY, Jean-Luc (eds.): Le retrait du politique. París, Galilée, pp.
191, 192 e 195. Non obbedirebbe la decostruzione del cristianesimo a quella stessa necessità di
ritirare/ritracciare l’elemento religioso?
36
DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in GUIBAL,
Francis e MARTIN, Jean-Clet, op. cit., p. 193.
37
Citato da Nancy in La Déclosion, op. cit., p. 155.
38
Ibidem, p. 163.
sottomettere al suo controllo39. Per questo non si ferma nel suo passare, come
nemmeno, e a differenza degli dei respinti dai luoghi divini o dalla Ragione hegeliana,
esce da sé o ritorna in sé. Come potrebbe farlo se, giustamente, quel se stesso, è ciò che
viene messo in questione? Dio, il sovrano, l’ente supremo, che è quello che è. No,
l’ultimo dio heideggeriano/nancyniano non è il Dio dell’ontoteologia. Senza dubbio, è
l’idea di un Dio sprovvisto di essenza (ousia) divina e che, di conseguenza, ormai non
può più occupare il luogo del fondamento: e questa è una delle tesi più potenti della
decostruzione del cristianesimo.
Questo è ciò che resta una volta che gli dei sono andati via: un segnale, un gesto; la
traccia (trait) della sua ritirata (retrait). Non resta nemmeno un luogo vuoto, quello che
un tempo occuparono gli dei, giacchè “le pas est le dieu divin, le seul, le lieu où la force
du passant se signale et s'excède”40. Il passaggio è il dio “divino”, l’“ultimo dio” di cui
parlava Heidegger e che, per mezzo di quell’idea di Wink, Nancy relaziona con il
concetto heideggeriano di “evento” (Ereignis): “ce que, sans doute, il faut entendre,
c'est que le dieu est geste: non pas être ni étant, mais geste en direction de
l'inappropriable être de l'étant (une appropriation que Heidegger nomme Ereignis, et
dont il faudra plus tard introduire l'analyse en tant que c'est vers elle que le Wink winkt,
que c'est en elle que la différance diffère et que, peut-être, elle ne consiste en rien
d'autre qu'en clin d'oeil”41. Il passaggio dell’ultimo dio in definitiva è l’evento che apre
il Senso e dissemina l’ordine, sempre gerarchico, dei significati. È anche ciò che
permette la ritirata degli dei “non divini” dalla metafisica. La decostruzione del
cristianesimo include quindi l’accoglienza dell’ultimo dio.
Quale ospitalità richiede una simile accoglienza? E dove, in quale luogo alloggia? Quale
parola, quale invocazione, quale segno lo invita a passare? Come far sì, infine, che
quell’evento abbia luogo? Nancy non ha dubbi: è necessario approfondire l’Ereignis
heideggeriano. Il problema è che “Heidegger a laissé en partie suspendue l'explication
ou l'exploration de l'Ereignis”42. L’evento, come lo interpreta Nancy, è un sov-venire
(survenue) : “ce qui advient dans l'Ereignis, c'est peut-être que l'advenir lui-même
advient à soi, s'approprie comme présence. Mais cela ne peut advenir que sur le mode
du survenir. L'advenir s'advient en survenant, dans le battement du survenir. Ce serait
ça, le coeur de l'être - ou sa liberté (le coeur n'est-il pas pour nous synonyme ou
métaphore de la liberté dans tous ses états?). L'ouverture d'un monde, comme telle et
absolument, n'est pas pensable hors de la liberté de la survenue”43.
Ritorniamo quindi alla critica di Derrida. Infine, l’evento, l’Ereignis, non è nient’altro
che l’apertura. O, se vogliamo essere più precisi, il mondo come apertura. Di nuovo il
pericolo di sostantivizzare tale evento, facendo di quell’apertura un fondamento. In
Nancy l’ambito di ciò che avviene è per definizione imprevedibile ed incalcolabile, è,
per usare le sue stesse parole, una “sorpresa”, la qual cosa a priori sembrerebbe
avvicinarlo alla nozione derridiana dell’“av-venire”, di quel dono impossibile che non
può farsi presente e che invece è possibile44. Il dono è impossibile, non può essere
possibile se non come impossibile. Non c’è evento che abbia maggior carattere di
evento che un dono che rompe lo scambio, il corso della storia, il cerchio
dell’economia. Non c’è possibilità di altro dono che quello che si presenta come non
presentandosi, è l’impossibilità stessa. Si può comprendere allora come quel sottofondo
39
40
41
42
43
44
Vid. nota 13.
NANCY, Jean-Luc: La Déclosion, op. cit., p. 176.
Ibidem, p. 169.
NANCY, Jean-Luc: L'expérience de la liberté. París, Galilée, 1988, p. 146.
Ibidem, p. 149.
Cfr., fra altre, l’opera di Derrida Donner le temps. París, Galilée, 1991.
messianico così caratteristico in Derrida è ciò che lo porta a mostrarsi reticente davanti
ad un evento come quello di Nancy che, nonostante sia così imprevedibile come il suo
“av-venire”, si avvicina troppo alla postulazione di un fondamento (l’apertura) e allo
sviluppo di un’etica che deriva da quest’ultimo e che lascia in secondo piano ciò che per
Derrida deve essere prioritario in ogni riflessione etica: l’idea di ospitalità. Per questo
motivo, come lui stesso confessa45, la sua filosofia è in questo senso più vicina a
Levinas che ad Heidegger, al contrario di quanto succede a Nancy. L’ospitalità, spiega
Derrida, non consiste semplicemente nel ricevere ciò che si è capaci di ricevere. Da ciò
deriva la sua affinità con Levinas, giacchè sostiene che il soggetto è un anfitrione che
deve accogliere l’infinito oltre la sua capacità d’accoglienza46.
Dio, l’“ultimo dio”, non deve essere accolto poiché non è un dono, nel senso che
Derrida conferisce a questo termine, bensì un abbandono. Con ciò non affermiamo che
esista un’opposizione fra entrambi i concetti bensì una differenza: il dono è
l’impossibile, ciò che non può farsi patente se non vuole sparire (questa è la logica del
dono), mentre l’abbandono non solo è possibile ma apre anche una prassi, la prassi
dell’apertura, del mondo come apertura. Probabilmente in questo risiede l’origine delle
divergenze circa la posizione di Nancy che abbiamo commentato. La filosofia di Nancy,
nella misura in cui ha introdotto un maggior numero di concetti heideggeriani, sempre
passati al setaccio e liberati quindi da ogni possibile carica sostanziale – come fa per
esempio con il Mitsein – ha anche ereditato buona parte delle difficoltà e aporie
dell’opera del pensatore tedesco. La decostruzione del cristianesimo risulta
problematica per Derrida o Guibal per la presenza in essa di nozioni come apertura,
mondo o evento, quasi sempre difficili da maneggiare. Così, quando Nancy afferma che
“le Dieu de l'onto-théologie s'est lui même produit (ou déconstriut) comme sujet du
monde, c'est-à-dire comme monde-sujet”47, continuare ad usare lo stesso termine,
mondo, anche se previamente è stato alterato per potersi avvicinare all’essere-nelmondo heideggeriano, fa in modo che in esso risuoni ancora l’eco di quell’ente supremo
che si rifiuta di essere respinto.
L’evidente complessità di questo pensiero forse può essere, se non proprio neutralizzata,
almeno ridotta, se si recupera un concetto poco usato da Nancy negli ultimi anni,
praticamente assente dalla decostruzione del cristianesimo, ma che fornisce appigli con
i quali poter scalare la sfida che rappresenta il pensiero di Dio come mondo o apertura.
Si tratta della nozione del luogo 48, onnipresente in Des lieux divins: “cette présence de
pas de dieu pourrait cependant porter l'invite, l'appel, d'un à-dieu: aller à dieu, ou bien
adieu à tous les dieux. Ensemble, inextricablement, la présence divine et l'absence de
tout dieu. Le lieu - hic et nunc - à la place du dieu. - Peut-être cela était-il inscrit entre
les lignes des principes mêmes de l'onto-théo-logie: Deus interior intimo meo, il y a un
lie plus reculé que le lieu d'aucun sujet, un lieu sans substance et tout de présence
exposée, le simple éclat invisible où le sujet - le Dieu - vole en éclats”49.
45
Cfr. DERRIDA, Jacques «Entretien», in JANICAUD, Dominique: Heidegger en France II.
Entretiens, op. cit., p. 123.
46
Cfr. DERRIDA, Jacques: Dire l'événement, est-ce possible? París, L'Harmattan, 2001.
47
NANCY, Jean-Luc: La création du monde - ou la mondialisation. París, Galilée, 2002, p. 39.
48
Risulta significativo che in L'Adoration Nancy ometta qualsiasi riferimento all’idea di luogo, dei
“luoghi divini”, e al suo posto introduca il termine “posto” (place) per esprimere praticamente la stessa
cosa: “la vérité simple et nue qu'il n'y a rien à la place de Dieu parce qu'il n'y a pas de place de Dieu. Le
dehors du monde s'ouvre en plein monde et il n'y a pas de place première ou dernière. Nous sommes
chacun chaque fois premier et dernier”. In L'Adoration, op. cit., p. 94.
49
NANCY, Jean-Luc: Des lieux divins, op. cit., p. 34.
3. Conclusioni
Per quanto ne sappiamo, le ragioni per le quali Nancy abbandona l’idea di Dio come
luogo – come luogo svuotato della sostanza divina – non sono state da lui chiarite, al
meno per il momento. Potremmo azzardare, come si è già visto, che l’introduzione dei
concetti di mondo e di senso comportò lo slittamento di quello di luogo. Invece,
ritornare a Des lieux divins come propedeutica alla decostruzione del cristianesimo può
risultare utile. Non solo in quanto offre un avvicinamento alternativo alla stessa
tematica con un lessico non così heideggeriano come quello degli ultimi lavori di
Nancy, origine delle divergenze e discussioni segnalate, ma anche in quanto chiarisce
per quale ragione questo filosofo insiste sul motivo dell’“ultimo dio” che fa un cenno
(Wink) al suo passaggio. La divinità, il “dio divino” di Heidegger, è quel Deus interior
intimo meo, secondo l’espressione di Agostino d’Ippona che a Nancy piace citare.
In definitiva, un luogo nel quale il soggetto – Dio ente supremo, il cogito cartesiano, l’io
della psicoanalisi… –, sov-viene, si espone; nel quale qualsiasi sostanza che viene
postulata è aperta. Aperta a che cosa? All’evento del Dio che passa e che strizza
l’occhio e con il quale manteniamo una relazione speciale: “Le divin est cela, ou celui,
avec quoi ou avec qui l'homme se trouve engagé dans un certain rapport: de présence ou
d'absence, de parution ou de disparition”50.
Arriviamo così al cuore della decostruzione del cristianesimo. Se Nancy esita ad
eliminare questo termine, cristianesimo, si deve al fatto che in esso, una volta che gli
dei (la ousia) si sono ritirati, resta un’idea di “comunità senza comunione” che vincola o
ri-lega gli “esseri-singolari-plurali”. Se Dio esiste può essere soltanto la relazione
(rapport) fra coloro i quali vedono il segnale (Wink) del “Dio divino”; relazione in
quanto condivisione (partage) di quello stesso segnale, segno che mira ad un luogo, nel
quale il senso non soggiace ma passa: “cela demande de penser sans doute que l'«avec»
n'est rien: nulle substance et nul en-soi-pour-soi. Toutefois ce «rien» n'est pas
exactement rien: c'est quelque chose qui n'est pas une chose au sens d'un «posé-présentquelque part». Il n'est pas en un lieu, puisqu'il est bien plutôt le lieu lui-même: la
capacité que quelque chose, ou plutôt quelques choses, et quelques-uns, y soient, c'està-dire s'y trouvent les unes avec les autres ou entre elles - l'avec ou l'entre n'étant
précisément pas autre chose que le lieu lui-même, le milieu ou le monde d'existence”51.
La decostruzione del cristianesimo, se seguiamo il filo tracciato da Heidegger, propone
una nuova relazione con Dio. Non si tratta di fare di esso una Totalità che irrompa nella
relazione fra un Io e un Altro, poichè la divinità risiederebbe precisamente in questa
relazione. Lontana dalla dialettica che opera nelle coppie trascendenza/immanenza,
Essere/ente, Dio/uomo, la relazione con il divino per il quale non esiste ancora un
nome52 si appoggia su un vuoto, su un nulla (rien) come luogo abbandonato dagli dei
nella loro ritirata e che non si tratta di colmare ma di lasciare aperto e, in ogni caso, di
toccare: “faire toucher que Dieu existe: c'est-à-dire qu'il en saurait, précisément, être sur
le mode de ce que nous connaissons et de ce que nous saisissons comme positions
d'être, et qu'il relève d'une tout autre existence, d'une tout autre épreuve de l'exister”53.
Religione ontologica? Religione del toccare? Dio del tocco? Forse l’“ultimo dio”, quel
“Dio divino” che passa e fa dei cenni, aspetta ancora un nome. Ma, fino a quando non lo
riceverà, conviene ricordare, poiché questo è il compito etico, la prassi che ci compete,
che “il en peut y avoir de philosophie qui ignore la possibilité d'un rapport de l'homme à
50
51
52
53
Ibidem, p. 28.
NANCY, Jean-Luc: La pensée dérobée. París, Galilée, 2001, p. 120.
NANCY, Jean-Luc: La création du monde - ou la mondialisation, op. cit., p. 153.
NANCY, Jean-Luc: Des lieux divins, op. cit., p.p. 28-29.
Dieu, du discours au mystère, rapport d'exclusion et de référence réciproque -mais non
de fondement”54. Provvisoriamente adotteremo il termine che viene impiegato dal
proprio Nancy: cristianesimo, il luogo nel quale Dio irrompe come relazione (rapport) e
condivisione (partage).
54
NANCY, Jean-Luc: «Catéchisme de persévérance», en Esprit, octobre 1967, p. 379.
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