Partecipazione come scienza intuitiva. Lévy

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PARTECIPAZIONE COME SCIENTIA INTUITIVA LÉVY-BRUHL E
SPINOZA
In memoriam Stanislas Breton (1912-2005)
Francesco Saverio Nisio
P.U.F. | Revue philosophique de la France et de l'étranger
2005/3 - Tome 130
pages 323 à 333
ISSN 0035-3833
Article disponible en ligne à l'adresse:
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Pour citer cet article :
Nisio Francesco Saverio , « Partecipazione come scientia intuitiva Lévy-Bruhl e Spinoza » In memoriam Stanislas
Breton (1912-2005),
Revue philosophique de la France et de l'étranger, 2005/3 Tome 130, p. 323-333. DOI : 10.3917/rphi.053.0323
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PARTECIPAZIONE COME SCIENTIA INTUITIVA
LÉVY-BRUHL E SPINOZA*
In memoriam Stanislas Breton (1912-2005)
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L’espressione che impiega Lévy-Bruhl per individuare la propria partecipazione alla tradizione filosofica è davvero forte : vanno
sottolineati tre dati, la processione, il numero tre, il verbo « oser ».
Spinoza, Hume e Lévy-Bruhl non formano di certo una trinità
oggetto di culto per alcuna chiesa, ma non può essere casuale
l’espressione in linguaggio teologico in un testo scritto da uno studioso ben ferrato in tema di « sens mysterieux du divin » [LévyBruhl, 1884, 250], di « mystique » [Lévy-Bruhl, 1938], acuto lettore di Pascal1. Eppure, Lévy-Bruhl osa.
Può sembrare a prima vista eccentrico questo riferimento autobiografico a Spinoza, e invece è proprio all’ebreo portoghese-olandese
autore dell’Ethica che dev’essere accostata la figura intellettuale di
Lévy-Bruhl per cogliere l’unità interna di un’opera ricca e prolifica.
Va subito detto che manca un testo nell’imponente Bibliographie des œuvres de Lucien Lévy-Bruhl [Lévy-Bruhl, 1989] : a
ragion veduta, dato che quel testo rimase inedito, e continua ad
* Qui si dà conto di un interrogativo nato in margine ad una ricerca
sull’opera del doyen Carbonnier. Nel gennaio 2003 domandai a Dominique
Merllié si vi fossero attestazioni di un interesse di Lévy-Bruhl per Spinoza : egli
mi indicò la lettera ad Evans-Pritchard. Lo ringrazio per la collaborazione
scientifica originatasi in occasione dell’elaborazione del presente articolo.
1. Sulla relazione fra Lévy-Bruhl e Pascal, cfr. Merllié, 1989.
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1. « J’avais l’ambition d’ajouter quelque chose à la connaissance scientifique de la nature humaine en utilisant les données de l’ethnologie. Ma
formation a été philosophique, non anthropologique : je procède de Spinoza et de Hume plutôt que de Bastian et Tylor, si j’ose évoquer ici de si
grands noms » [Lévy-Bruhl, 1957, 413].
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esserlo. Si tratta di un articolo su Spinoza, scritto non più tardi
del 1880 dall’allora giovane professore di filosofia nel liceo di Poitiers. Articolo che sarebbe stato in effetti il primo a comparire in
una Bibliographie la quale, prendendo avvio nel 1881 con un saggio
su Heine, si chiude nel 1949 con la pubblicazione postuma dei Carnets, senza che peraltro in alcun luogo vi sia menzione di un interesse esplicito e diretto per Spinoza1.
Qualche elemento circa i contenuti di quel testo può unicamente
ricavarsi dalla cortese ed argomentata lettera di diniego alla pubblicazione che Théodore Reinach scrive, nel novembre del 1880, a
nome del comitato di pubblicazione della Société des études juives,
editrice della Revue des études juives apparsa da pochi mesi col
primo numero. Si tratta di un articolo « sur la théorie des passions
dans Spinoza », considerata « en elle-même et pour elle-même, abstraction faite de ses [possibles] antécédents [la Kabbale, les docteurs juifs du Moyen Âge, Descartes] ». Una teoria « éclairée,
fouillée, commentée » con un lavoro che ha « gagné en profondeur
et intérêt spéculatif » [Reinach, 2002, 7-8]2.
Al di là della vicenda in questione, che peraltro mostra quanto
precoce sia stato l’interesse verso l’autore dell’Ethica da parte del
giovane studioso, all’epoca ventitreenne, bisogna sottolineare come
la comprensione dell’intera opera di Lévy-Bruhl, e in special modo
la comprensione della sua unità interna, possa giovarsi del parallelo
condotto con Spinoza.
2. Lévy-Bruhl ha scritto due libri espressamente consacrati ai
temi etici : L’idée de responsabilité nel 1884, e La morale et la science
des mœurs nel 1903. Volumi che aprono e chiudono una fase precisa
della sua carriera intellettuale, la fase per così dire « pre-etnologica »3. L’idée de responsabilité è la sua prima monografia pubblicata. I due volumi non sono però consacrati soltanto alla discussione di temi morali, anzi tale topica, pur non assente nel primo, è
esplicitamente esclusa dal secondo. Capovolgendo un’espressione di
Lévy-Bruhl (« N’a-t-on pas cru longtemps que l’Éthique de Spinoza, en dépit de son titre, exposait plutôt une métaphysique
1. Due parziali eccezioni : nel 1894 Lévy-Bruhl pubblica separatamente
un capitolo del libro a venire su Jacobi, col titolo « F. H. Jacobi et le spinozisme » ; nel 1926 recensisce il libro di G. Cohen, Le séjour de Saint-Évremond en
Hollande et l’entrée de Spinoza dans le champ de la pensée française, Paris, 1926.
2. Elementi non sufficienti all’accoglimento di quel testo su una rivista di
« histoire du judaïsme » : a detta di Reinach, « même en interprétant ces termes dans le sens le plus large », era legittimo esprimere una valutazione sulla
« qualité de Juif » di Spinoza [Reinach, 2002, 7].
3. Sui libri di questa fase, cfr. Merllié, 1993 e 2002, Keck, 2004.
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qu’une morale ? » [Lévy-Bruhl, 1903, 17]), si può affermare che
questi libri contengano maggiormente una teoria della conoscenza
dell’idea morale, invece che una qualsiasi teoria morale. Si tratta di
contribuire ad affrontare la « question essentielle, [...] le problème
capital peut-être de la philosophie [...], fixer les rapports de la
science et de la morale » [Lévy-Bruhl, 1894, 261], indicando i contenuti possibili di una « science of morals » [Lévy-Bruhl, 1899, 81]
che sia « such knowledge of himself as man can obtain by reflecting
upon his own nature, his place in the universe and the destiny he
may expect » [ibid., 80].
Dato che « la nature nous oblige à penser » [Lévy-Bruhl, 1909,
617], è questa « the only science of real importance to man, the only
one which bears upon what is indispensable for him to know »
[Lévy-Bruhl, 1899, 81], almeno fino a che non nasca « l’homme qui
suspendrait son jugement sur toutes choses » [Lévy-Bruhl, 1909,
617]. Una scienza la quale, « carefully followed out, leads [men] to
the threshold of the true religion », e ciò sia che si abbia fede, sia
che la fede manchi : in quest’ultimo caso, appunto cercando « to
understand themselves, and if unable to do so, then to discover why
this is impossible for them. This is the only human means to bring
them nearer to salvation » [Lévy-Bruhl, 1899, 81].
Forse è esattamente questo il contenuto della « new science of
metaphysics » [ibid., 481] che, nella Conclusion della History of
Modern Philosophy in France del 1899, il Lévy-Bruhl storico della
filosofia auspicava quale contributo della Francia, e sua partecipazione, al comune lavoro filosofico del futuro. Né è possibile escludere che egli stesse parlando anche di se medesimo in quel contesto,
dato che tutte le opere « etnologiche », e in più La morale et la
science des mœurs, erano a quell’epoca ancora a venire. Se « the old
forms of metaphysics – I do not mean metaphysics itself – [are] tending gradually to disappear », a motivo del « criticism » dei due
secoli precedenti, non è detto che da quel « criticism » non possa
venir fuori « a theory of knowledge, scientifically established, and
from this theory of knowledge, perhaps, a new science of metaphysics » [ibid., 480-481].
Ecco esposto il programma che esprime il senso dell’affermazione
autobiografica iniziale, quella « ambition d’ajouter quelque chose à
la connaissance scientifique de la nature humaine en utilisant les
données de l’ethnologie ». L’intero progetto intellettuale dell’autore
può essere letto come parte costitutiva di una « new science of metaphysics » posta sotto il segno del grande studioso della natura
umana, e dunque dell’etica, Spinoza. Uno studio condotto da
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entrambi su base metafisica, visione sub specie aeternitatis « geometrica », « razionale », al contempo però non disgiunta dal sentire, la
« faculté des sentiments » [Lévy-Bruhl, 1894, 61]1.
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Questa è conoscenza di terzo genere, « adaequatam cognitionem
essentiae rerum », come si esprime Spinoza [Ethica, pars II,
prop. 40, scholium II]. Ed è anche, esattamente, la forma di conoscenza che Lévy-Bruhl descrive in più punti nell’intero arco della
propria produzione intellettuale. Alcune esemplificazioni : ne L’idée
de responsabilité, egli discute « l’idée commune de responsabilité » e
l’inestricabile rapporto che vi è in essa fra sentimenti suscitati dalla
condotta, « croyance » nella « participation » (o « solidarité »)
dell’intero uomo ai propri atti, e idea di responsabilità [Lévy-Bruhl,
1884, 1-8]. Ne La morale et la science des mœurs si legge, all’interno
del capitolo consacrato a Le sentiment moral : « Les sentiments et les
représentations sont inséparables les uns des autres » [Lévy-Bruhl,
1903, 224]. E ancora :
« En morale, les notions de bien, d’obligation, de mérite, de justice, de
propriété, de responsabilité, etc., sont des concepts d’une complexité
extrême, impliquant un grand nombre d’autres concepts, imprégnés de
sentiments et de croyances plus ou moins perceptibles à la conscience et à
la réflexion, chargés, en un mot, de tout un passé d’expériences sociales.
Clairs pour l’action, à qui la tradition en enseigne l’usage, ils sont étrangement obscurs pour l’analyse scientifique » [ibid., 20].
1. Questa strada interpretativa, pur priva di riferimenti espliciti a Spinoza, è stata parzialmente esplorata da Fondane [Fondane 1940] in un testo
pubblicato sulla Revue philosophique, all’epoca diretta dallo stesso Lévy-Bruhl.
Il saggio venne edito in due parti a cominciare dal numero successivo alla
scomparsa di Lévy-Bruhl. L’avvertimento redazionale che apre l’articolo
espone concisamente i limiti nei quali l’interpretazione veniva accolta da parte
di Lévy-Bruhl. Invece Goldman si avvicina maggiormente a cogliere il tenore
reale di questa « science of metaphysics », ricollegandola appunto alla presenza
di Spinoza nell’opera di Lévy-Bruhl, anche se per via riflessa : « On peut même
avancer que Lévy-Bruhl éprouve de l’admiration pour Jacobi, à l’instar de
celle que ce dernier avait pour Spinoza » [Goldman, 1998, 11].
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« La raison selon Jacobi est donc divinatrice : c’est une révélation,
c’est une aspiration vers un absolu auquel nous croyons, sans le voir. [...]
“La faculté des sentiments”, disons-nous, est chez l’homme la faculté supérieure à toutes les autres, celle qui seule distingue son espèce parmi les animaux, et l’élève au-dessus d’eux, non pas en degré, mais en nature, c’est-àdire hors de toute comparaison. Elle est, en un mot, identique à la raison.
Ou bien, en d’autres termes non moins exacts : ce que nous appelons raison, ce que nous considérons comme une faculté supérieure au pur entendement (qui a pour unique objet la nature), provient exclusivement de la
faculté des sentiments. Comme les sens fournissent des données à
l’entendement dans la sensation, de même la raison lui en fournit dans le
sentiment » [Lévy-Bruhl, 1894, 61-62].
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L’accenno al fondamento « sociale », « tradizionale », di questa
forma di conoscenza, è peraltro esplicitamente ripreso più oltre nel
volume :
« [La psychologie] n’a pas de raison de s’enfermer dans la conscience
individuelle. Elle ne rapporte primitivement à cette conscience que les faits
de sensation proprement dits, et ceux qui résultent des impressions faites
sur les sens, plaisir ou douleur, faim, soif, blessures, etc., ceux, en un mot,
qui provoquent une réaction plus ou moins immédiate de l’organisme. Mais
tous les autres faits psychologiques, conceptions, images, sentiments, volitions, croyances, passions, généralisations et classifications, elle les considère comme étant collectifs en même temps qu’individuels. L’individu,
dans une société inférieure, pense, veut, imagine, se sent obligé, sans
s’opposer par la réflexion aux autres membres du groupe auquel il appartient. Les représentations qui occupent sa pensée encore confuse lui sont
communes avec eux, de même que les motifs habituels de ses actions. La
conscience est vraiment celle du groupe, localisée et réalisée dans chacun
des individus » [Lévy-Bruhl, 1903, 231-232].
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« Il nous est très difficile de réaliser, par un effort d’imagination, des
états plus complexes, où les éléments émotionnels et moteurs sont des parties intégrantes des représentations. Il nous semble que ces états ne sont pas
vraiment des représentations. Et, en effet, pour conserver ce terme, il faut
en modifier le sens. Il faut entendre, par cette forme de l’activité mentale
chez les primitifs, non pas un phénomène intellectuel ou cognitif pur, ou
presque pur, mais un phénomène plus complexe, où ce qui pour nous est
proprement “représentation” se trouve encore confondu avec d’autres éléments de caractère émotionnel ou moteur, coloré, pénétré par eux, et
impliquant par conséquent une autre attitude à l’égard des objets représentés. [...] L’objet n’en est pas simplement saisi par l’esprit sous forme
d’idées ou d’images ; selon le cas, la crainte, l’espoir, l’horreur religieuse, le
besoin et le désir ardent de se fondre dans une essence commune, l’appel
passionné à une puissance protectrice sont l’âme de ses représentations, et
les rendent à la fois chères, redoutables, et proprement sacrées à ceux qui y
sont initiés. [...] Jamais cet objet [...] n’apparaîtra sous la forme d’une
image incolore et indifférente » [Lévy-Bruhl, 1910, 28-29].
3. Come si può vedere, si è in presenza di esemplificazioni di
quella che Spinoza ha indicato come « scientia intuitiva ». Né è
inopportuno tale collegamento fra la tesi classica della scuola durkheimiana (alla quale, in certa maniera, ben partecipò Lévy-Bruhl1)
ed un’ipotesi interpretativa in chiave spinoziana. Si vedano gli
esempi già forniti per altri appartenenti alla scuola, Maurice Halb-
1. Su Lévy-Bruhl e Durkheim, cfr. Merllié, 1989, 1998, 2002.
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Infine, per mostrare l’unità dello sguardo di Lévy-Bruhl in tutte
le fasi della ricerca, si legga il seguente testo tratto da Les fonctions
mentales dans les sociétés primitives :
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wachs e Jean Carbonnier1. Può inoltre esser chiamato in causa
anche l’attento sguardo di Stanislas Breton, profondo lettore di Spinoza nonché studioso del rapporto tra mistica e filosofia.
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Peraltro, è a questa famiglia di senso che fa riferimento Lévinas,
altro pensatore dell’etica, quando parla, in quello che resta a
tutt’oggi il più penetrante saggio interpretativo della filosofia di
Lévy-Bruhl, della teoria della partecipazione nei termini di una
concezione dell’ « expérience sociale comme la première intuition de
l’être » [Lévinas, 1957, 569].
4. Questo il riferimento a Spinoza che può evidenziarsi nell’ultima opera di Lévy-Bruhl, i Carnets postumi : « Le sentiment qu’ils
[les Canaques] ont de leur existence propre est fondu dans le sentiment de leur appartenance à ce groupe : leur effort pour persévérer
dans leur être est donc en même temps un effort pour persévérer
dans l’être de ce groupe » [Lévy-Bruhl, 1949, 103]. In un’intero
paragrafo dal titolo « Participation de l’individu au corps social »
[Lévy-Bruhl, 1949, 99-103, ma si veda già a partire da 95-99],
concetto fondamentale dell’opera di Lévy-Bruhl, suo centro assoluto, è possibile incontrare uno svariato numero di volte la medesima espressione, « persévérer dans l’être »2. L’espressione, tecnicamente, è spinoziana : Ethica, pars III, prop. 6, « Unaquaeque res,
quantum in se est, in suo esse perseverare conatur » ; prop. 7,
« Conatus, quo unaquaeque res in suo esse perseverare conatur,
nihil est praeter ipsius rei actualem essentiam ». In quello stesso
1. Su Halbwachs e Spinoza, cfr. Nisio, 2001, 121-124. È da segnalare la
presenza di Lévy-Bruhl nella commissione che discusse la tesi di dottorato di
Halbwachs (si veda in Revue de métaphysique et de morale, 3, 1913, supplément).
Circa Carbonnier e Spinoza, cfr. Nisio, 2002, 112-113 e 144-152. È noto il debito
che Carbonnier ha contratto con La morale et la science des mœurs : ibid., 53.
2. Nove volte nelle pag. 101-103.
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« La version sociologique [durkheimienne : la nature double de chaque
homme, sensible et sociale] de cette conception aux résonances spinozistes
a l’avantage de désigner comme responsable de l’universel “pensant et
pensée” une instance plus précise, plus proche de nous aussi, et prégnante
de réminiscences religieuses. La référence délibérée au Dieu qui habite en
chacun et qui, selon le mot de saint Augustin, est, “en moi, plus intérieur à
moi que je ne le suis moi-même”, a une signification inconsciente et précise : le dieu ne serait autre, en sa vérité profonde, que la figure mythique
de la société. Le troisième genre de connaissance selon Spinoza pourrait
ainsi s’interpréter comme l’apparaître intuitif du divin en tant que synonyme de milieu social déterminant. Cette conception, spinoziste en son
fond, quelles que soient par ailleurs les analyses proprement sociologiques,
me paraît indissociable de l’idée de substance, abstraction faite de ses
applications » [Breton, 2000, 59-60].
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contesto, Lévy-Bruhl accenna anche ad altri concetti riconducibili
allo spinozismo : « expression » [Lévy-Bruhl, 1949, 102], il rapporto alla morte1 [103], « substance » [104] ; poco oltre, « consubstantialité » [160] ; infine la discussione del tema « participation et
immanence » [250].
Va detto ancora che Lévy-Bruhl ha costantemente impiegato
nella propria opera altri concetti fondamentali dell’Ethica, relazionandoli in particolare alla « masse sociale » [Lévy-Bruhl, 1903,
250], la condizione di massa dell’uomo. Per esempio ha parlato della
« necessité » delle convenzioni legali, condizione imprescindibile
dell’esistenza stessa della società [Lévy-Bruhl, 1884, 62, 69, 218219] ; del carattere dell’uomo quale sua « nature » [ibid., 15, 113],
nonché della discussione sul rapporto uomo-carattere in termini sia
di autonomia ( « la célèbre expression de Spinoza, causa sui » ), sia
di « prédétermination innée » [ibid., 112] ; di « lois naturelles », le
quali non domandano di essere osservate dato che si compiono
« nécessairement » [ibid., 32] ; ed anche della « loi sociale », quale
opera dell’uomo che prende il posto delle leggi della natura e, pur
non fondando la propria sanzione sul carattere di necessità che
appartiene a quelle, non di meno fa riposare la responsabilità che
consegue alla loro violazione su un rapporto esteriore di causalità, il
rapporto tra atto e conseguenza dell’atto [ibid., 36].
Come può rilevarsi dall’insieme di questi riferimenti, a fondare
lo specifico della natura umana, la dimensione etica, i sentimenti
morali, è il sentimento della partecipazione, vale a dire l’esser parte
di una natura che supera, « d’une manière incompréhensible pour
nous » [ibid., 101] e dunque all’infinito, la sfera della propria singolarità : quell’infinito, o essenza comune, chiamata società. E la
fonda, beninteso, appunto sulla differenza « de l’infini du fini »
ovvero, « pour emprunter à Spinoza une comparaison célèbre,
comme le chien, animal aboyant, diffère du Chien, constellation
céleste » [ibid.].
Questo ha costantemente ribadito, in tutte le proprie opere, il
filosofo sociale Lévy-Bruhl. E questo ha fatto in dialogo con
l’autore dell’Ethica.
5. A conclusione di questa ricognizione dell’opera di Lévy-Bruhl
sub specie aeternitatis, è possibile mostrare quanto il suo stesso
1. Ne La morale et la science des mœurs si legge che Spinoza « heurte de
front la pratique de son temps, quand il recommande, par exemple, la méditation de la vie, et non de la mort, quand il condamne l’humilité au même titre
que l’orgueil » [Lévy-Bruhl, 1903, 44].
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« Les axiomes et les définitions des sciences mathématiques, construits
a priori par l’entendement pur, sont universellement acceptés. Leur simplicité et leur clarté parfaites préviennent toute équivoque : ils doivent à leur
origine même un caractère de nécessité qui se transmet à toutes les propositions dérivées. Enfin ils n’intéressent pas notre faculté de sentir et sont
sans rôle direct dans la vie pratique. Il en est tout autrement des hypothèses et des postulats sur lesquels peuvent se fonder des démonstrations
philosophiques. Ce sont des produits souvent obscurs, souvent même
inconscients, des croyances et de la réflexion combinées. Ils intéressent
l’âme tout entière, et décident, parfois sans qu’on le sache, de la direction
morale de la vie » [ibid.].
Ecco nuovamente riemergere, alle scaturigini del pensiero
stesso, « les croyances », esperienze ideali le quali,
« Comme la langue [que l’homme] parle, comme la religion qu’il professe, comme la science qu’il possède, ils sont le résultat d’une participation
constante à une réalité sociale qui le dépasse infiniment, qui existait avant
lui, et qui lui survivra. [...] [Une sorte de] “nature” comparable, sous certaines réserves, à la nature physique » [Lévy-Bruhl, 1903, XXI].
Una natura che parla attraverso una voce specifica, quella del
sentimento [Lévy-Bruhl, 1894, XXXIV], la quale nondimeno può e
deve essere conosciuta, almeno entro certi limiti, attraverso il gioco
di princìpi e conseguenze, gioco che possa condurre a scelte che,
« pour être consenti[s], pour être libre[s] dans une certaine mesure,
ne [doivent] cependant pas être arbitraire[s] » [Lévy-Bruhl, 1884,
218-219].
Vi è un infinito che circonda l’uomo da tutti i lati [Lévy-Bruhl,
1884, 243-246], per esempio l’infinito di senso che avvolge anche le
prime definizioni dell’Ethica. È questo un infinito anche sociale,
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« metodo » filosofico sia generato da « scientia intuitiva ». Se ogni
esistenza è partecipazione, anche l’opera del filosofo e dello storico della filosofia sottostà necessariamente a tale legge, ad
una simile necessità. Vi è un’impersonalità, una socialità, anche
nell’espressione del pensiero, condizione che esclude la separazione
fra epoche, scuole, individualità. Solo la metamorfosi del senso mostra il movimento del pensiero, un movimento portato innanzi dalle
« libere » scelte del singolo pensatore.
« Ce n’est pas que toute démonstration, aussi bien mathématique que philosophique, ne repose en dernière analyse sur quelque
chose qui n’est pas démontré : axiomes, définitions, hypothèses et
postulats » [ibid., 217]. Si vada con la mente all’inizio dell’Ethica,
alla « scientia intuitiva » lì espressa (Dio, eternità, infinito, sostanza) ; non invece alle opere di Descartes, « qui pensait le contraire [et] s’est trompé [...] : de là ses erreurs de méthode et ses illusions métaphysiques » [ibid.]. Continua Lévy-Bruhl :
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1. In de Lara 2000 vi è un’analisi dell’opera di Wittgenstein in termini di
antropologia dell’azione rituale (mistica). Anche Mary Douglas menziona il
filosofo ebreo austriaco [Douglas, 2000-2001, 8], e con lui Bourdieu e Basil
Bernstein, in rapporto ai « raisonnements circulaires » della « pensée analogique », una forma di pensiero che non è solo appannaggio delle società « primitive ».
2. Ma anche, ad esempio, di Robert Musil [Musil, 1925, § 3] e di Elias
Canetti [Canetti, 1960, 508].
3. Nella History of Modern Philosophy in France, Lévy-Bruhl mostra in più
luoghi lo stretto rapporto esistente tra il sistema di Malebranche e quello di
Spinoza [Lévy-Bruhl, 1899, 51, 60-2, 76], nonché il sottile confine che li mantiene separati e che permette al primo di protestare, a ragione, contro l’accusa
di « spinozism » : l’assenza della « moral idea of order » in Spinoza [ibid., 61].
Cionondimeno, si legge che « Malebranche was thereby enabled to say, as a
Christian, a great part of what Spinoza said as a free-thinker » [ibid., 76].
Quell’accusa, in fondo, non è la stessa alla quale anche Lévy-Bruhl si sente
esposto nella lunga Préface alla terza edizione de La morale et la science des
mœurs ?
4. Non c’è spazio per articolare una riflessione sul rapporto di Lévy-Bruhl
con Hume, altro membro della trinità del pensiero. Su Hume si veda LévyBruhl, 1909, dove non è difficile riconoscere profonde assonanze con le idee
finora incontrate. Lévy-Bruhl parla della « méthode » di Hume e del primato
della « science de l’homme » ; ne sottolinea la riflessione sulla « idée de la
nécessité » ; espone l’analisi da lui condotta sulle regolarità fenomeniche
« comme obéissant à des lois. C’est donc qu’un principe de liaison est fourni par
notre esprit » ; infine, caratterizza il « belief » nella sua natura simultanea di
« sentiment et jugement d’objectivité ».
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una comunità di vita e di appartenenza – quella che Wittgenstein
chiama « Lebensform », « form of life » [Wittgenstein, 1969,
§ 358]1 –, che, unica, offre quel « belief that is not founded » [ibid.,
§ 253] il quale, come « une foi » [Lévy-Bruhl, 1884, 249], sostiene la
nostra esistenza, la vita morale, la dimensione etica.
Lévy-Bruhl, nel passaggio al secolo ventesimo e poi ben al suo
interno, ha mostrato con la propria opera quanto « primitivo » il
pensiero dei « primitivi » davvero non fosse, anzi come, al contrario, fosse possibile offrire, nel ventesimo secolo, una fondata ipotesi
giustificativa della portata e dei limiti della conoscenza morale sulla
base degli stessi princìpi che spiegano la « mentalité primitive ».
Come per il pensiero « primitivo », anche nell’ « oggi » di LévyBruhl e nostro2, la partecipazione « mistica » – la « croyance » –
alla comunità del pensiero (Platone, Descartes, Spinoza, Malebranche3, Hume4, Jacobi, Kant, Comte), è condizione per proseguire nel cammino di « libération progressive [...] de quelques-unes
des servitudes auxquelles cette nature nous a assujettis, et dont
nous ne nous affranchirions jamais sans la science » [Lévy-Bruhl,
1903, XXXIV].
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Francesco Saverio Nisio
Cosa di maggiormente spinoziano vi è, nella storia intera della
filosofia, di questo appello alla « liberté de penser », dalla quale
dipendono « les autres libertés, qui tiennent à celle-là par les liens
les plus étroits » [Lévy-Bruhl, 1894, XXXVII] – ancora un tipo,
invero molto sottile, di legame di partecipazione ?
Francesco Saverio NISIO,
Università di Foggia.
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BIBLIOGRAFIA
Partecipazione come Scientia intuitiva
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