
1Poiché l'orizzonte teleologico infinito va inteso come un
orizzonte simbolico di senso, il quale per definizione attetra man
mano che ci si approssima aesso, questa teleologia, quella del
senso in vista di sé, implica una riflessività del senso, non-
determinante, coestensiva auna «medesimezza» del senso, per
così dire: auna «ipseità» del senso che, pur procedendo di pari
passo con l'ipseità di una coscienza, #0x si confonde con quella
di un ego. AI contrario, l'ipseità di un Io non ha di pet sé altro
senso d'essere se non per essere un senso
-
senso della mia
vita Equesto, asua volta, èpossibile soltanto perché essa si
autocostituisce, omeglio si genera, nel corso del tempo edella
vita, nel corso di una vita dotata di senso =il che, sappiamo,
non va da sé, come dimostrano le patologie individuali ecollet
tive L'etrore metafisico di Husserl (ma anche del primo Hei-
degger) èstato allora quello di pensare che un'ipseità profonda
(trascendente oesistenziale), in un certo qual modo identifica
bile (per problematica che sia tale identificabilità), fosse la fon
te di ipseità di ogni «ipseità» del senso, il polo unico che conduce
al solipsismo trascendentale oesistenziale, che detiene il segre-
to, ovvero il senso ultimo di tutto ciò che genera qualsiasi sensu
Equi che, molto in profondità emolto sottilmente, si radi-
ca ogni onto-teologia" in una sorta di congiunzione al limite tra
mflettente edeterminante, nel simulacro ontologico di una ma-
trice determinante cieca che si riprenderebbe, aprés coup, nella
eOra, questio significa suppotte he la molteplicità
dei sensi (i sensi degli enti in Husserl, isensi dei differenti mo-
di di essere degli enti in Heidegger) trovi da qualche parte la
propria arché, in un senso det sensi originario, chiamato Dio 0
essere in quanto essere Ma se rimaniamo fedeli alla consegna
kantiana (quella della terza Crea) per cui, arigote, non c'è
passaggio dal riflettente al determinante (dalla teologia del sen-
so alla donazione di senso), ovvero tale passaggio, illusorio, è
esattamente quello del «salto dogmatico» o«metafisico»
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ne
deriva esattamente questo: il senso comporta ir se stesso qual-
cosa di originariamente gon-dato, qualcosa che rimane indefi-
tutamente da farsi nell'orizzonte teleologico della sua riflessione
Il senso, che risulta senza arché 0senza cominciamento (se non
per una illusoria retroiezione trascendentale nella prior della
posteriori del suo sviluppo), èdi per sé aperto, «prior, su ogni
lato, in virtù delle assenze che lo abitano, auna originaria mol
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teplicità dei sensi, privi aloro volta di un cominciamento. Se
non può più essere focalizzata nell'intreccio (complicato) di tutti
isensi attraverso ut'arché ipoteticamente piena di se stessa, ta-
le molteplicità, necessariamente indefinita, può essere allora man-
tenuta raccolta come molteplicità di contingenze simboliche
soltanto tramite la riflessione di quella contingenza che essa co-
stituisce globalmente. Eil senso dei sensi oil senso del senso
èil senso di tutto questo (della vita, della nascita edella mor-
te), senso che si genera indefinitamente, nel movimento della
vita che riflette, nell'orizzonte teleologico continuamente arre-
trante della sua riflessione. Ein effetti di questa molteplicità
dei sensi, aperta eindefinita, che ogni sistema simbolico (ivi
compresa, innanzitutto, ogni lingua empirica) fornisce una
dificazione simbolica cieca, perché crecanzente determunante. È
dal tentativo di «cogliere» questo accecamento in una determi
nazione chiara eauto-trasparente (e dunque in una sorta di au-
todeterminazione simbolica assoluta) che ènata l'impresa,
l'elaborazione della metafisica. Ora, quest'ultima, come abbia-
mo visto aproposito della seconda apotia husserliana, il più delle
volte funziona solo apatto che si operi una deformazione coe
rente delle determinatezze simboliche, distorsione che mira a
rendere più omeno omogenea l'istituzione simbolica (di più nella
metafisica classica ein Husserl, di meno in Heidegger) al fine
di semplificarne la riflessione. In effetti, tale deformazione coe-
rente Èaffetta dalia sesuente difficoltà appare impossibili
flettere le determinatezze simboliche ela loro contingenza senza
apportarvi, sottobanco, un sovrappiù di determinazione
-
co
-
me ben s1 vede nello strutturalismo (sia esso linguistico, etnolo.
gico 0psicoanalitico), dove proprio la fissazione relativamente
arbitraria delle detetminatezze simboliche (dei segni odei «si.
gnificati») èciò che permette di riflettere le loro connessioni
strutturali. Equesto èsintomo del fatto che tale sovrappiù di
determinazione èin realtà sempre cieco (in filosofia, si tratte-
rebbe del sovrappiù logico-eidetico), che esso si precede già da
sempre al fine di identificarsi simbolicamente asé, che cioè de-
riva già da un raddoppiamento determinante dell'istituzione sim-
bolica, da una ricodificazione simbolica cieca che ha cancellato
la propria origine eche semplifica 11 ruolo della riflessione sol
tanto perché ne ha ristrette le possibilità, avendo quindi sotto-
posto preventivamente l'indeterminazione del mondo della vita
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